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11 marzo
Oggi, ma nel 1821, a Torino, a San Salvario, il capitano Vittorio Ferrero, proveniente da Fossano, guidando da Carignano 80 soldati, spiegava la bandiera carbonara, con i colori rosso, celeste e nero, dando vita al tentativo di rivolta contro i Savoia. Si univano a lui 200 cittadini armati, pronti all’insurrezione. Veniva proclamata la costituzione, che era un documento d’impronta liberale, scritta sulla base di quella spagnola di Cadige dell’1 gennaio 1820. Per sette ore Ferrero tentava, inutilmente, la ricerca di un accordo verbale parlamentando davanti ai soldati sabaudi, che però non attaccavano gli insorti. Ai rivoltosi si erano uniti anche gli studenti universitari.
Alla sera la colonna guidata da Ferrero, vista l’inerzia dei militari savoiardi, passava su barche il Po, proprio davanti al limitrofo parco del Valentino, e si avviava verso Chieri e Asti, per poi riparare ad Alessandria. In quella cittadella fortificata i moti erano cominciati il giorno precedente, 10 marzo, dopo tre giorni di pianificazioni. L’operazione era stata coordinata da Annibale Filippo Derossi, “Santorre di Santarosa”, con l’appoggio di Carlo Alberto di Savoia Carignano. L’obelisco in pietra (nella foto, particolare), dedicato a Ferrero, ideato, nel futuro corso Guglielmo Marconi, da Giuseppe Gabetti, nel 1873, con sulla sommità la stella in bronzo a cinque punte, simbolo della massoneria che riuniva i cospirati, sarà omaggio alla spinta innovatrice tentata quell’11 marzo 1821.
Repressa la sommossa, il giorno successivo, 12 marzo, i congiurati verranno presi e condannati. Il sacrificio di quei patrioti non sarà inutile: aprirà la via al lento, tortuoso e doloroso processo di unificazione nazionale. La vicenda dell’11 marzo 1821 verrà raccontata, per la prima volta, nelle 42 pagine del volumetto di Carlo Beolchi, intitolato “Vittorio Ferrero e il fatto di San Salvario”, che verrà pubblicato da Gianini e Fiore e cugini Pomba, sempre del capoluogo piemontese, nel 1853.
Il re di Sardegna, Vittorio Emanuele I, detto “il Tenacissimo”, piuttosto che cedere al Pronunciamento dell’11 marzo e concedere la costituzione, che avrebbe garantito maggiore potere al popolo e minore assolutismo al sovrano, due giorni dopo, il 13 marzo, preferirà abdicare. Lo farà in favore del fratello Carlo Felice, che salirà sul trono il 25 aprile. Nel frattempo, trovandosi Carlo Felice a Modena per ragioni d’ufficio, la reggenza spetterà a Carlo Alberto.
Questo accadimento darà vita ad un unicum nella storia italiana, per la vicinanza del reggente agli ideali rivoluzionari dei carbonari e al suo ruolo di mediatore, benché tentennante, tra i congiurati del 6 marzo, giorno dell’avvio delle trattative diplomatiche di Santarosa - coadiuvato da Giacinto Provana di Collegno, Carlo Emanuele Asinari di San Marzano, Guglielmo Moffa di Lisio e Roberto d’Azeglio - con il rappresentante della corona.