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17 AGOSTO

Oggi, ma nel 1962, a Berlino, nel lato est, due guardie di frontiera colpivano, al bacino, Peter Fechter, di 18 anni, muratore al check point Charlie, nel tentativo di oltrepassare il muro di divisione delle due Germanie, ed andare ad ovest, verso l’Occidente, e lo lasciavano morire dissanguato, dopo un’ora di agonia, davanti a centinaia di testimoni.

Helmut Kulbeik, che era con Fechter, riusciva a farla franca passando nella “striscia della morte” e ad arrampicarsi sulla seconda linea divisoria in muratura, verso Kreuzberg. Era la vittima numero 27 della separazione forzata tra le due realtà, quella di sostegno alla Nato e quella pro Patto di Varsavia.

L’omicidio di Stato del giovane Peter (nella foto, particolare, il cadavere di Fechter come riportato sulla prima pagina del quotidiano “Bild zeitung”, del 18 agosto di quel 1962) destava più scalpore fuori dalla cortina di ferro e particolarmente nel Belpaese, alle prese con le bizze del partito comunista italiano che faticava non poco a riconoscere le colpe scodellate nel ventesimo congresso del Pcus, il partito comunista dell’unione sovietica, tenuto in pompa magna nel gran palazzo del Cremlino, a Mosca, dal 14 al 26 febbraio 1956, durante il quale il primo segretario Nikita Krusciov aveva svelato i crimini staliniani.

Secondo le fonti ufficiali, tra il 13 agosto 1961, data dell’avvio dell’erezione della barriera, alta 3.6 metri e lunga 155 chilometri, fino al 9 novembre 1989, giorno dell’avvio delle picconate volte alla dissoluzione del simbolo per antonomasia della guerra fredda, i morti fatti fuori dalla sorveglianza della Ddr, ammonteranno a 133. Ma le cifre ufficiose indicheranno oltre quota 200. L’eliminazione di Fechter, più di quella di altri malcapitati, verrà ricordata a livello internazionale.