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17 ottobre
Oggi, ma nel 1916, a tre miglia marittime dalla costa albanese di Valona, in prossimità del fanale di Aspri Ruga, che si trovava in linea con lo sbarramento difensivo del canale di Otranto, il cacciatorpediniere della regia Marina militare Nembo (nella foto, particolare), comandato dal capitano di fregata Emanuele Russo, appartenente alla quinta squadriglia cacciatorpediniere, veniva silurato dal sottomarino austroungarico U16. Il mezzo avversario era comandato del tenente di vascello della Kuk Kriegsmarine Orest Ritter von Zopa, di Czernowitz, nella Bucovina del nord, e si trovava in agguato nella rada antistante Cattaro.
Il Nembo, che era in servizio di scorta al piroscafo tricolore Bormida, adibito al trasporto delle truppe dirette a Santi Quaranta, rione di Benevento, passando per il porto di Brindisi, affondava, centrato da due siluri. Nel punto contrassegnato dalle coordinate 40°08' N e 19°30' E. L’azione rientrerà tra quelle considerate degne di essere ricordate, in un primo conflitto mondiale caratterizzato prevalentemente, nella contrapposizione tra regno d’Italia ed impero asburgico, dalla guerra di trincea piuttosto che dalle azioni nell’Adriatico, essendo stata adottata dalla marina dell’Aquila bicipite la scelta di tenere le grandi corazzate ferme all’interno dell’arsenale marittimo di Pola per non rischiare grandi perdite. Colando a picco il Nembo, lungo 64 metri, largo 6, che era stato costruito nel cantiere Pattison di Napoli, varato il 18 maggio 1901, si portava negli abissi 32 dei 55 componenti dell’equipaggio, incluso il comandante Russo, originario di Palermo, inquadrato nella capitaneria di porto del capoluogo siciliano. Russo, che era l’ufficiale più alto in grado presente a bordo, per il suo estremo sacrificio, verrà insignito della medaglia d’argento al valor militare, alla memoria. Il comandante in seconda, il tenente di vascello Ettore Ceccarelli, nativo di Roma, in servizio alla capitaneria di porto di Taranto, riceverà quella di bronzo, sempre post mortem.
I 23 superstiti riusciranno a raggiungere la terraferma e a mettersi in salvo grazie alla scialuppa lasciata dal Bormida e all’intervento del cacciatorpediniere Lanciere e della torpediniera Centauro. Anche l’U16 colava a picco, verosimilmente per lo scoppio delle bombe di profondità stivate sul Nembo e cadute in acqua accidentalmente, e si contavano 2 vittime. Tra queste anche Ritter von Zopa, che era stato assegnato all’U16 il 18 novembre 1915. Altri 14 componenti dell’equipaggio austroungarico verranno tratti in salvo e fatti prigionieri dagli italiani.
La fine dell’U16 rimarrà controversa. L’altra ipotesi che verrà presa in considerazione dagli addetti ai lavori sarà quella della collisione. Ovvero il Nembo sarebbe riuscito, prima di inabissarsi, a speronare il sommergibile nemico. Nelle manovre di salvataggio degli italiani desterà scalpore il comportamento di quattro malcapitati. Ovvero il guardiamarina Ignazio Castrogiovanni, originario di Palermo, il sottocapo cannoniere Luigi Ricci, di Viareggio, il fuochista Emanuele Pisano, di Pizzo Calabria, e il marinaio scelto Salvatore Visalli, di Catania, che, finiti in mare per evitare di morire dentro il Nembo, con orgoglio, dopo aver rifiutato di essere tratti a bordo della scialuppa di salvataggio utilizzata dai superstiti dell’U16, riusciranno a raggiungere la costa albanese a nuoto, sfidando il freddo e l’oscurità, essendo il Nembo partito da Valona poco dopo mezzanotte.