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19 luglio

Oggi, ma nel 1992, a Palermo, in via Mariano D’Amelio, tra il civico 19 ed il 21, Cosa nostra assassinava, facendo esplodere la Fiat 126 imbottita di 90 chilogrammi di Semptex-H, il magistrato Paolo Borsellino, palermitano di 52 anni, storicamente impegnato nella lotta alla Mafia. Nell’attentato perivano anche cinque poliziotti che costituivano la scorta. Erano: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, che, tra l’altro, era sia la prima donna della Polizia di Stato a svolgere quel ruolo, che a cadere in servizio. Riusciva invece a salvarsi l’agente Antonino Vullo.

L’episodio si verificava dopo la strage di Capaci, del 23 maggio precedente, costata la vita al giudice Giovanni Falcone. Che veniva fatto fuori insieme alla moglie Francesca Morvillo, anche lei in magistratura, e ad altri tre poliziotti. Ossia: Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro. L’omicidio di Borsellino, unito all’eliminazione di Falcone, produrranno il potente senso d’indignazione del Belpaese e alla nascita di un simbolo. L’immagine di Falcone e Borsellino seduti accanto, al lavoro contro la criminalità organizzata (nella foto, particolare, sulla prima pagina del quotidiano “La Repubblica”, del 21 luglio ’92) verrà riprodotta persino sui tatuaggi.

Il tortuoso iter processuale porterà all’individuazione, quali responsabili, dei maggiori esponenti della Cupola. Addirittura il desiderio da parte dei vertici della malavita siciliana di togliere di mezzo Borsellino affondava le radici nel ruolo svolto dalla vittima nelle indagini inerenti il delitto del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Quest’ultimo era stato freddato, a Monreale, sempre nel palermitano, il 4 maggio 1980.