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19 ottobre

Oggi, ma nel 1768, con epicentro a Santa Sofia, successivamente in provincia di Forlì Cesena, che dipendeva dalla podestaria di Galeata, si scatenava il terremoto dell'Appennino forlivese-romagnolo. La prima delle due scosse, del 9 grado della scala MCS, ovvero Mercalli-Cancani-Sieberg, si sviluppava, poco prima alla mezzanotte, causando gravi danni nell’alta valle del fiume Bidente. Una decina di centri abitati nei dintorni subivano distruzioni: soprattutto Spinello, Cerreto, Cabelli.

Santa Sofia riscontrava crolli più ingenti, inclusi il castello, la rocca, la chiesa di Santa Lucia. Vi morivano 54 persone delle cento vittime complessive che si conteranno in tutta la zona. L'area colpita era, al tempo, di notevole rilievo, posta tra il granducato di Toscana e lo Stato pontificio, col confine delimitato proprio lungo il corso del Bidente. Ma era connotata da costruzioni tutt'altro che solide: fatte di ciottoli, terra, lastre di arenaria, caratteristiche tipiche dell'edilizia rurale povera.

A Rocca San Casciano veniva danneggiato il convento dei padri minori osservanti riformati, che diveniva inabitabile costringendo i frati a lasciarlo. Danni più leggeri si riscontravano in centri come Cusercoli, San Piero in Bagno, Tredozio, Galeata, Brisighella.

L'ondata d'urto, stando alla relazione ufficiale (nella foto, particolare del frontespizio della pubblicazione coeva riportante le conseguenze del sisma) si avvertiva fino a Forlì, dove comunque si limitarono a cadere i comignoli dai tetti, Cesena, Meldola, Portico di Romagna, Faenza, Rimini, Pesaro, Cento di Ferrara, Padova, Roma e Firenze. Questi ultimi due erano i centri amministrativi nevralgici dai quali dipendevano i territori segnati dalla calamità naturale. Le due entità statuali, forzatamente coinvolte dalle suppliche dei terremotati, risponderanno con tempi lunghi persino alle richieste di soccorso e di prima necessità, noncuranti della gravità della situazione.

Il granduca di Toscana, Pietro Leopoldo, il 2 novembre successivo, invierà tra le macerie il sopra-sindaco del magistrato dei nove, Giovan Battista Nelli, con l’incarico di appurare l’entità effettiva dei danni e di provvedere quindi a risolvere i problemi di sussistenza degli sfollati che già da dodici giorni erano costretti a bivaccare all’aperto, in un clima non propriamente mite. Il 9 novembre dopo, anche il principe Andrea Doria Pamphilj, feudatario di Meldola, spedirà sul luogo del disastro il suo agente generale, Matteo Barboni, col mandato di distribuire alla popolazione la somma di 600 scudi e l’equivalente in grano. In entrambi i casi, tuttavia, gli interventi economici si riveleranno assolutamente inadeguati, persino a sfamare gli scampati.