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23 dicembre

Oggi, ma nel 1923, a Biancavilla, in provincia di Catania, si teneva quella che verrà considerata la prima sommossa popolare antifascista del Belpaese. Costituiva il precedente che, prendendo l’abbrivio dalla Sicilia, creava la spinta d’opposizione che si dipanava in tutto il Belpaese quando quella che diverrà la dittatura mussoliniana stava prendendo corpo. Ben prima dell’ondata d’indignazione generale che verrà suscitata dal rapimento e dall’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, del 10 giugno 1924 e dal conseguente processo farsa di Chieti del 16-24 marzo 1926.

Quel 23 dicembre 1923 a Biancavilla, cittadina animata da una folta classe contadina e bracciantile politicamente molto connotata, la Casa del fascio, che si trovava in quella che sarà via Antonio Gramsci, veniva assaltata. I rivoltosi non esitavano a impossessarsi del ritratto del figlio del fabbro di Predappio, a cavargli gli occhi, e a darlo alle fiamme posizionandolo sopra la catasta di mobili portata in strada. La caserma delle guardie municipali veniva ugualmente forzata.

La folla inferocita si scagliava contro il Casino dei civili, che diverrà il Circolo Castriota, che già era stato attenzionato dalle sommosse rurali per le questioni demaniali del 1848 e del 1860, passate alla storia come sciopero al contrario. Venivano incendiati i casotti adibiti alla riscossione del dazio. E per poco non riusciva anche di dare alle fiamme il Palazzo di città, collocato vicino la chiesa di Santa Maria dell’Idria.

L’episodio del 23 dicembre 1923 verrà dettagliatamente ricostruito da Alfio Grasso, già professore a contratto nelle facoltà di Agraria delle università di Palermo e di Reggio Calabria, ex sindaco di Biancavilla del Partito comunista italiano, nelle 110 pagine del suo volume intitolato “Biancavilla contro il Duce. 23 dicembre 1923. La prima sommossa popolare antifascista” (nella foto, particolare della copertina), che verrà pubblicato dalla casa editrice Nero su Bianco, di Biancavilla, nel 2021. I tumulti del piccolo centro siciliano scaturivano dalla tassa sulla paglia, imposizione dettata dal commissario prefettizio che colpiva soprattutto alcune fasce più deboli della popolazione.

Nonostante lo stato d’assedio garantito come subitanea risposta alle agitazioni, da parte della pubblica sicurezza, dei carabinieri e della milizia volontaria per la sicurezza nazionale, di fronte alla folla inferocita e al primo nucleo di comunisti organizzati, le autorità amministrative erano costrette a cedere. L’odioso balzello verrà tolto e il commissario, dimostratosi sprovveduto nel suo agire, verrà rimosso. Attori principali della messa in scena erano Giuseppe Lavenia, segretario del fascio locale, il canonico Antonino Arcidiacono, dirigente di zona del Partito popolare e referente biancavillese di don Luigi Sturzo, il primo cittadino Alfio Bruno.

Si consumava la lotta che vedeva contrapposti due schieramenti: quello delle camicie nere, alleato con i popolari e il piccolo mondo cattolico, quello degli esponenti liberaldemocratici, per lo più animato da socialisti e comunisti, che facevano riferimento al primo cittadino, che sarà anche l’ultimo democraticamente eletto. Bruno era entrato nell’assemblea civica totalizzando 853 preferenze, risultando il consigliere più votato, in uno schieramento dichiaratamente di sinistra, apertamente contrapposto ai fascisti. Nel 1925 verrà sciolta l’amministrazione municipale e ci sarà, di fatto, la presa di potere del municipio da parte del potentato in orbace.