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30 AGOSTO
Oggi, ma nel 1918, a Mosca, Fanni “Fanya” Kaplan, di 28 anni, attivista e componente del Partito socialista rivoluzionario, tentava di assassinare, sparando tre colpi di rivoltella, Vladimir Ilic Uljanov detto “Lenin”, di 52, leader bolscevico della rivoluzione russa del 24 ottobre 1917, al termine del discorso tenuto dall’esponente di vertice del comunismo dell’est nella fabbrica “La Falce e il martello”.
I proiettili riuscivano solo a ferire “Lenin”, alla spalla sinistra e al collo, e a lacerargli il cappotto. Ma temendo altri assalti di eventuali complici della donna veniva fatto rifugiare nel Cremlino. La vicenda comprometterà l’equilibrio psicofisico di “Lenin” e, stando ad alcuni biografi, contribuirà a portarlo all’ictus mortale che lo stroncherà, il 21 gennaio 1924, a Gorki. La Kaplan considerava "Lenin", che tecnicamente ricopriva il duplice ruolo di presidente del Consiglio dei commissari del popolo della Repubblica socialista federativa sovietica, dall’8 novembre 1917, e di segretario generale del Pcus, il Partito comunista dell’Unione sovietica, dall’8 novembre 1906, il peggior traditore del vero spirito dell’insurrezione volta a migliorare la condizione di vita popolare.
L’episodio (nella foto, particolare, il momento della sparatoria eternato nella tela dell’artista russo Vladimir Pcelin, del 1927) aveva enorme risonanza internazionale e soprattutto nel Belpaese, dove la dottrina leninista era particolarmente apprezzata dagli esponenti "rossi". La Kaplan, che aveva già scontato 11 anni nel campo di lavoro di Akatui, nella zona Transbaikalia, per precedenti condotte violente e che, a causa dei maltrattamenti, aveva gravi problemi alla vista, verrà fucilata, sempre nella capitale russa, il 3 settembre successivo. L'esecuzione sarà portata a termine da un drappello di militari della Ceka, la temibile polizia politica del regime, guidato da Jakov Sverdlov, su mandato del Comitato centrale del Partito comunista, e il cadavere verrà fatto sparire dopo essere stato bruciato.