Andare per saldi, che stress!

Saldi, saldi, saldi.. 30, 50, 70%. Le sirene dei cartelli a caratteri cubitali ammiccano, richiamo irresistibile per qualunque “modadipendente” (fashion addicted, direbbero quelli “cool”). Decido di fare un giro per negozi, magari trovo una camicia un po’ fuori dall'ordinario o un pantalone di ottimo taglio per rinnovare il guardaroba.
In una vetrina noto una deliziosa camicina lamé con le maniche a sbuffo: un po’ Alice nel paese delle meraviglie, a dire il vero, ma con il giusto abbinamento... risultato garantito! Entro, scelgo qualche altra cosa dagli scaffali e mi infilo nel camerino, dal quale riemergo dopo poco con i vestiti sulle braccia. «Questi si, questi altri no», dico, porgendoli alla commessa, che quasi mi bacia per la commozione nel vedere che ho riappeso tutto sulle grucce. «Non immagina come mi lasciano i vestiti», mi spiega, indicandomi il camerino accanto, dove una decina di capi giacciono malamente accasciati sulla panca come guerrieri dopo una battaglia. Un vestitino è appeso precariamente per una manica, una blusa di seta è scivolata a terra... la giornata campale della commessa sarà ancora lunga.
Altro giro, altro negozio. Nel camerino accanto al mio c'è una signora che prova un abito da urlo: se lo molla è mio! Lei si gira, si rimira, si riguarda: «mah, non so...». Il suo accompagnatore siede rassegnato su uno sgabello troppo basso per le sue lunghe gambe, circondato da capi scartati. «Vorrei provarci una giacca di un altro colore...». La commessa ne porta diverse, mentre io, che nel frattempo ho finito gli acquisti, mi attardo nella speranza di una sua rinuncia. Ma la signora si gira, si rimira, si riguarda: «mah, non so... Vorrei provarci una scarpa con il tacco alto...».

«Signora» le vorrei dire dopo mezz'ora di giravolte davanti allo specchio, «le sta malissimo, sembra un tricheco». Ma non posso, perché purtroppo le sta da dio, anche se lei sembra concentrata su chissà quale microscopico difetto e ignora deliberatamente gli incoraggiamenti del povero martire portapacchi. Mi arrendo dopo uno sguardo complice all'esasperata commessa: ripasserò alla chiusura, magari per quell'ora avrà deciso.

Sto per tornare a casa, carica di buste, quando adocchio un paio di scarpe graziosissime nella vetrina di un negozio che non conosco. Entro e chiedo la misura. La proprietaria (presumo) mi guarda. «No, per lei il 40 è troppo grande» sentenzia, «è magra, le ci vuole il 39». Non capisco cosa c'entri la corporatura con il numero di scarpe e insisto: so benissimo che misura porto. Ma lei non molla: «Io le porto il 39, vedrà che ho ragione...». Infilo la scarpa sapendo già che non andrà bene: infatti tocca in punta. «Ha visto? Le sta benissimo!», mi dice la signora. Benissimo un corno, ho già l'alluce intorpidito. «Colpa delle calze, quelle che ha sono brutte», sentenzia. «Deve mettere quelle velate». La signora ci sa proprio fare, con i clienti! Infilo gli stivaletti sulle mie calze non velate, raccatto le buste e saluto: «Grazie, vado a cambiarmi e torno». Peccato, le scarpe erano belle, ma non saprò mai se il 40 andava bene.
Così finisce la giornata di shopping, tra commesse esasperate ed esasperanti, carte di credito esaurite e il rammarico per quell'abito perfetto di cui non c'era più la taglia. Giusto il tempo per recuperare le forze, tra qualche mese nuovi saldi ci aspettano.
©RIPRODUZIONE RISERVATA