Terremoto
Rigopiano, sagra dell'incapacità
In questi giorni seguo con un interesse che sta diventando sconcerto l'inchiesta relativa alla tragedia di Rigopiano. Spuntano ogni giorno rivelazioni giornalistiche che traggono linfa dagli atti dell'indagine e che testimoniano una cosa inquietante: l'assoluta impreparazione, a tutti i livelli (dalla prefettura ai Comuni), quando si tratta di gestire un'emergenza vera e non il solito videogioco.
La vicenda Rigopiano mi ricorda da vicino ciò che emerso dal processo cosiddetto Grandi Rischi relativo alle informazioni “superficiali” _ per usare un eufemismo _ che la Protezione civile diede agli aquilani prima della forte scossa del 6 aprile 2009. In questi ultimi otto anni si sono scritti libri, organizzati convegni, mobilitati enti pubblici e imprese private sulla cosiddetta “comunicazione del rischio” che sembra la panacea di tutti i mali. Non voglio certo sottovalutare l'importanza della comunicazione del rischio ma forse bisognerebbe porre prima l'attenzione sulla preparazione delle professionalità, su chi e come deve coordinare gli interventi e sulla riconoscibilità e autorevolezza della cosiddetta catena di comando. Non si può affidare la vita delle persone a un'impiegata che di solito si occupa di aride scartoffie, o a personaggi in cerca d'autore abituati a intessere trame politiche in Regione o in Provincia e che all'improvviso devono decidere dove mandare un mezzo, come mandarlo e soprattutto perché mandarlo. La storia che sta venendo fuori sul caso Rigopiano è un coacervo di improvvisazione che fa paura. Le colpe? Vedrete che alla fine tutto finirà a tarallucci e vino come è successo per la Grandi Rischi. La responsabilità, anche penale, presuppone a monte professionalità, competenza e consapevolezza. In questo caso _ visto quello che sta emergendo _ forse prevarrà “l'incapacità di intendere e volere”. Che come è noto è la scappatoia più facile per non pagare il fio.