la manovra

Chieti, il salvataggio dell'Ater passa per Carichieti

Ecco il documento firmato dalla Gabini: la banca darà 6,7 milioni di euro, ma ora occorre il sì della giunta D’Alfonso

CHIETI. É una scommessa il Piano industriale per risanare l'Ater di Chieti. Prevede lacrime, sangue e un prestito d'oro. Le lacrime sono quelle del personale perché dieci dipendenti sono in esubero. Il sangue è quello vampirizzato dalla precedente gestione finita sott'inchiesta, anzi agli arresti, che ha distolto dalle casse dell'azienda qualcosa come 6 milioni di euro. Il maxi prestito invece è quello che la Carichieti commissariata dovrebbe concedere, ammesso e non concesso che la Regione si presti a fare da garante. Si tratta di 6,7 milioni da restituire in trent'anni. A tutto ciò si aggiunge un'operazione a tappeto di recupero degli affitti non pagati con lo spiegamento in campo di venti avvocati. Ma con scarsissime possibilità di successo. Così come sono ridotte al lumicino le speranze di ritentare la vendita di immobili commerciali e terreni per un valore di 9 milioni di euro. Il primo tentativo ha fruttato briciole: 465mila euro serviti a pagare stipendi arretrati. La posta in gioco è alta. E' l'ultima spiaggia per l'Ater commissariata dopo clamorose vicende giudiziarie, quelle delle tangenti sugli appalti e degli stipendi d'oro ai dirigenti. Il salvataggio passa attraverso la madre di tutte le delibere pubblicata l'11 settembre scorso (data che evoca tragedie epocali) e firmata dalla commissaria, Antonella Gabini, voluta dal centrodestra ma confermata, a maggio, dal centrosinistra. Proprio la giunta D'Alfonso ora è chiamata a mettere il timbro sulle trenta pagine di Piano industriale. Se lo farà in tempi brevi, l'Ater eviterà la messa in liquidazione, e gli inquilini dormiranno sonni sicuri. Se no sarà debacle. Siamo venuti in possesso del documento che traccia il quadro della situazione ereditata dal passato: roba da mettersi le mani nei capelli, per chi li ha. I debiti accertati sono di 5,2 milioni di euro per il funzionamento dell'ente (la voce comprende anche il costo del personale) e di 7,2 milioni per la gestione (in questo capitolo rientrano i lavori del dopo sisma eseguiti dagli ex amministratori senza copertura di cassa!). Il debito più alto resta comunque quello riferito a Carichieti per gli anticipi di cassa, diventati una sorta di sport aziendale, per ben 3,5 milioni. Sull'altro piatto della bilancia troviamo crediti per 5,1 milioni che però derivano essenzialmente dalle morosità, difficilmente recuperabili nonostante quei 20 legali siano riusciti a stanare 600 furbetti. Ma il dato, vuoi per la crisi vuoi per il malcostume, è in crescita inarrestabile. Tra le entrate da incrementare spunta anche la Casa dello studente, in fondo a via Arenazze, che ha persino i mobili ma resta chiusa. Nel Piano si legge che il palazzo ha “ottenuto la variante in sanatoria” e che entro la fine dell'anno avrà l'abitabilità subordinata al certificato antincendio che i vigili del fuoco dovrebbero rilasciare. Staremo a vedere. I punti chiave restano comunque due: la rideterminazione dell'organico con sette impiegati e tre dirigenti costretti a fare le valigie, e la concessione del mutuo trentennale da parte di Carichieti che, il 12 agosto scorso, ha avuto il via libera del commissario di Bankitalia, Salvatore Immordino, purché la Regione faccia da garante. Se così non fosse c'è un piano B, consiste nella concessione diretta da parte dell'ente, governato da Luciano D'Alfonso, di un ricco finanziamento all'Ater. Ma non c'è alcun piano C. In parole povere è una scommessa legata a un sì della giunta regionale. L'alternativa è la liquidazione con effetti nefasti compresa la perdita di 13 milioni che di recente il Cipe ha concesso per pagare i lavori del dopo sisma. Quei lavori che rappresentano una delle cause della debacle dell'Ater teatina. Debacle che la commissaria Gabini ha ricostruito come avrebbe fatto una detective uscita dalla penna acuta di Agatha Cristie. Il giallo può intitolarsi “il cane che si mordeva la coda”. Dalle indagini del commissario, affiancato dalla direttrice Giuseppina Di Tella, è infatti emerso che vennero distolti dalla destinazione prevista dalla legge ben 6 milioni di euro. Somme destinate alla manutenzione degli immobili e ai pagamenti delle imprese. Le conseguenze sono state azioni legali a pioggia di imprese e progettisti affidatari dei lavori per i danni del sisma del 2009 senza copertura. A tutto ciò si aggiungevano spese gonfiate per il personale, tra il 2009 e il 2012, per 650 mila euro con picchi per l'ex direttore, oltre a spese per convegni, viaggi, uffici stampa e chi più ne ha più ne metta. Da qui il deficit coperto e al tempo stesso incrementato con anticipazioni di cassa e accumulando debiti per lavori non pagati. Ma il cane ha smesso di mordersi la coda.