Chieti, la Sixty venduta a un gruppo cinese
L'ira della Cgil: colpo ferale al made in Italy, ora le istituzioni non restino in silenzio
CHIETI. La Sixty consegnata a un gruppo asiatico. Una società d'investimento, il Crescent HidePark, con sedi a Singapore e Shangai, fa incetta delle azioni del gruppo fondato da Wicky Hassan e Renato Rossi. La notizia arriva come fulmine a ciel sereno e scatena l'ira della Cgil, che boccia l'operazione come un colpo ferale al Made in Italy
. «Già da un anno dicevo che Sixty alla fine sarebbe stata venduta ai cinesi», dice Giuseppe Rucci della Filctem-Cgil, «ne vedevo chiaramente i segni premonitori e oggi non posso che ammettere con estrema amarezza che ci troviamo di fronte a una botta ulteriore al Made in Italy». Il gruppo Sixty, noto in tutto il mondo per i marchi di jeans Miss Sixty ed Energie, ma anche per gli altri brand, da Killah a Murphy&Nye e RefrigiWear, passa alla società panasiatica. L'obiettivo dell'operazione, stando a fonti vicine all'operazione, è squisitamente finanziario. L'azionista cinese riversa capitali freschi nel gruppo italiano, che ha fortemente risentito della crisi economica degli ultimi anni e visto sgonfiare il proprio fatturato in soli due anni di circa 200 milioni di euro, maturando al contempo un debito di circa 300 milioni di euro. Dopo due anni di tentata trattativa con le banche per raggiungere un accordo per la ristrutturazione del debito, l'arrivo dei cinesi fa tirare un sospiro di sollievo al management ma lascia nello sconforto completo i lavoratori. I dettagli dell'operazione non sono ancora stati resi noti ma dalle prime notizie filtrate si apprende che Crescent HydePark intende sostenere il management di Sixty nel rilancio e nello sviluppo internazionale del gruppo, senza tradire l'imprinting di Wicky Hassan, fondatore e mente creativa di Sixty, scomparso lo scorso dicembre. Fu proprio lui nel 1989 con Renato Rossi a dare il via a linee moda affermatisi in tutto il mondo, ridefinendo la categoria dei prodotti denim e introducendo innovazioni all'avanguardia nel design femminile. Non emerge altro sull'operazione, con i vertici del gruppo, a partire dall'amministratore delegato Pietro Bongiovanni, per il momento irraggiungibili. Tuona, invece, Giuseppe Rucci, impegnato ieri al tavolo romano su Golden Lady, dove ha appreso dell'operazione.
Il pensiero va al piano industriale e all'accordo raggiunto con ampie riserve. «L'azienda non ci ha assolutamente avvertiti di quanto stava accadendo», dice Rucci, «è assurdo, con tavoli di confronto aperti sul piano industriale e i forti timori sulla tenuta dei livelli occupazionali del nostro territorio. Avrei voluto sbagliarmi, quando già un anno fa leggevo la deriva asiatica del gruppo. Dobbiamo ora capire bene come andranno le cose, entrare nel dettaglio di questa transazione, e come reagiranno i lavoratori. Certo è che questa azienda non è affidabile. L'accordo è stato difficilmente raggiunto a metà aprile e ora ci ritroviamo con uno scenario completamente diverso. Tutto questo su tavoli a cui siedono anche le istituzioni, che mi auguro adesso non rimangano in silenzio e con le mani in mano».
. «Già da un anno dicevo che Sixty alla fine sarebbe stata venduta ai cinesi», dice Giuseppe Rucci della Filctem-Cgil, «ne vedevo chiaramente i segni premonitori e oggi non posso che ammettere con estrema amarezza che ci troviamo di fronte a una botta ulteriore al Made in Italy». Il gruppo Sixty, noto in tutto il mondo per i marchi di jeans Miss Sixty ed Energie, ma anche per gli altri brand, da Killah a Murphy&Nye e RefrigiWear, passa alla società panasiatica. L'obiettivo dell'operazione, stando a fonti vicine all'operazione, è squisitamente finanziario. L'azionista cinese riversa capitali freschi nel gruppo italiano, che ha fortemente risentito della crisi economica degli ultimi anni e visto sgonfiare il proprio fatturato in soli due anni di circa 200 milioni di euro, maturando al contempo un debito di circa 300 milioni di euro. Dopo due anni di tentata trattativa con le banche per raggiungere un accordo per la ristrutturazione del debito, l'arrivo dei cinesi fa tirare un sospiro di sollievo al management ma lascia nello sconforto completo i lavoratori. I dettagli dell'operazione non sono ancora stati resi noti ma dalle prime notizie filtrate si apprende che Crescent HydePark intende sostenere il management di Sixty nel rilancio e nello sviluppo internazionale del gruppo, senza tradire l'imprinting di Wicky Hassan, fondatore e mente creativa di Sixty, scomparso lo scorso dicembre. Fu proprio lui nel 1989 con Renato Rossi a dare il via a linee moda affermatisi in tutto il mondo, ridefinendo la categoria dei prodotti denim e introducendo innovazioni all'avanguardia nel design femminile. Non emerge altro sull'operazione, con i vertici del gruppo, a partire dall'amministratore delegato Pietro Bongiovanni, per il momento irraggiungibili. Tuona, invece, Giuseppe Rucci, impegnato ieri al tavolo romano su Golden Lady, dove ha appreso dell'operazione.
Il pensiero va al piano industriale e all'accordo raggiunto con ampie riserve. «L'azienda non ci ha assolutamente avvertiti di quanto stava accadendo», dice Rucci, «è assurdo, con tavoli di confronto aperti sul piano industriale e i forti timori sulla tenuta dei livelli occupazionali del nostro territorio. Avrei voluto sbagliarmi, quando già un anno fa leggevo la deriva asiatica del gruppo. Dobbiamo ora capire bene come andranno le cose, entrare nel dettaglio di questa transazione, e come reagiranno i lavoratori. Certo è che questa azienda non è affidabile. L'accordo è stato difficilmente raggiunto a metà aprile e ora ci ritroviamo con uno scenario completamente diverso. Tutto questo su tavoli a cui siedono anche le istituzioni, che mi auguro adesso non rimangano in silenzio e con le mani in mano».
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