Chieti, malato da 26 anni si salva col rene donato dal fratello
Non ce la faceva più a sottoporsi a dialisi: "Ora sono tornato a vivere grazie a una scelta coraggiosa"
CHIETI. «Mio fratello ha dato un senso alla mia vita. Ero disperato, non ce la facevo più a tirare avanti. Donandomi il suo rene mi ha ridato un’esistenza nuova». Da otto anni in attesa di un trapianto, da 26 in dialisi, a un mese dall’operazione che lo ha rimesso al mondo, il protagonista descrive con queste parole quanto gli è accaduto: «Il miracolo è avvenuto. Esattamente un mese fa, l'11 novembre, il mio grande fratello mi ha donato una vita nuova. Mi ha donato il rene che non arrivava ormai da circa otto anni. Con il suo gesto ha dimostrato quanto può essere grande l'amore di un fratello che non ne poteva più di vedermi così sofferente. Io sono rinato, nonostante un lungo periodo di convalescenza che mi attende, sono felicissimo e già sento i miglioramenti che avvengono giorno dopo giorno».
Il coraggio e la generosità di un fratello, il più grande dei due, il riconoscimento e la felicità dell’altro. Non pubblichiamo, per loro richiesta, i nomi dei due protagonisti di questa storia che è un eccezionale spot sull’importanza della cultura della donazione degli organi. Si tratta comunque di due cinquantenni di Chieti, esponenti di una famiglia nota in città, che nel momento del bisogno ha dimostrato di saper essere davvero famiglia. «Mio fratello si era offerto sin da quando mi è stato diagnosticato il problema di darmi un rene», racconta il protagonista al telefono, «sono io che non ho voluto. Riuscivo a cavarmela con la dialisi e, almeno all’inizio, riuscivo a portare avanti una vita quasi normale». 26 anni, però, non sono pochi. E di giorno in giorno il regime di dialisi diventava sempre più duro.
Non solo, il fisico ormai non reggeva più. Il paziente così si è messo in lista per un trapianto sia al centro regionale trapianti dell’Aquila che a quello di Pavia. In entrambi i casi gli dicono che dovrà attendere due o al massimo tre anni e per ben due volte il sogno sembra quasi realizzarsi. La prima volta, passati tre anni d’attesa, la telefonata arriva da Pavia. Ma il paziente non riesce neanche a partire da Chieti che arriva subito il contrordine: il rene non è idoneo. E intanto arrivano anni in cui tutto diventa più difficile: «Non riuscivo neanche più ad andare regolarmente al lavoro», racconta il 50enne teatino, «è come se ogni mattina mi svegliassi con 39 di febbre. Ogni giorno non vedevo l’ora di tornare a casa per mettermi a letto. Non riuscivo a fare neanche 200 metri che dovevo subito fermarmi».
Quando ormai la disperazione sembra stare per prendere il sopravvento, a giugno scorso arriva la seconda telefonata. Questa volta è il centro trapianti dell’Aquila. Per il cinquantenne teatino è come se si fosse accesa una luce in fondo a un tunnel. Ma le speranze vengono brutalmente spente quando, ormai già in preanestesia, i medici scoprono che neanche questo rene è idoneo. «A quel punto sono caduto nella disperazione. E statto allora che mio fratello si è fatto di nuovo avanti con maggiore decisione. L’equipe del professor Francesco Pisani e della dottoressa Linda De Luca ha fatto il resto. Ed io già da qualche giorno dopo l’intervento mi sono sentito come nuovo. Mi aspettano ancora mesi di convalescenza ma la fase più delicata è alle spalle. Mio fratello sta bene. E’ felice e continua a chiamarmi ogni minuto per assicurarsi che tutto sia a posto».
Il trapiantato ora ha tre reni. Due, i suoi, non funzionano, il terzo, quello di suo fratello, sembra andare benissimo. A una visita di controllo ha incontrato un altro paziente con un caso simile al suo: un senegalese arrivato dall’Africa per essere trapiantato con il rene del fratello. «Quando gli ho detto che tutto è andato bene, ho visto la luce riaccendersi nei suoi occhi”.