Chieti, nuova condanna per Angelini: 4 anni per le indennità non versate
Per l'accusa l'imprenditore, in qualità di rappresentante di due società, avrebbe detratto le somme per pagare i contributi previdenziali. Oggi l’appello per bancarotta
CHIETI. Alla vigilia del processo d’appello per la bancarotta fraudolenta del gruppo Villa Pini, arriva un’altra condanna per l’ex patron Vincenzo Angelini. Questa volta l’accusa è di indebita percezione di contributi statali, grazie a cui si è beccato 4 anni e 6 mesi. Il pubblico ministero Lucia Campo aveva chiesto una condanna a 6 mesi. La sentenza è stata emessa dal collegio presieduto da Geremia Spiniello e composto da Andrea Di Berardino e Isabella Allieri. Sommata ai 4 anni a cui è stato condannato per abbandono di incapace (inchiesta nata dopo una ispezione parlamentare guidata dal- l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino), ai 7 anni per truffa e falso (per l’inchiesta sui ricoveri impropri) e ai 10 anni per bancarotta, la nuova pena fa superare i 25 anni di carcere inflitti dal tribunale teatino all’ex re della sanità privata. La condanna di ieri, seppur preventivata nella peggiore delle ipotesi, ha sorpreso la difesa per l’entità. «Probabilmente è stata conteggiata la recidiva specifica», ha commentato il difensore di Angelini, Gianluigi Tucci, che ora aspetterà di leggere le motivazioni per proporre appello.
Secondo l’accusa il reato è stato commesso da Angelini in qualità legale rappresentante di due società del gruppo Villa Pini, la Gestioni Manageriali srl (che si occupava di contabilità) e Sanstefar srl (che faceva riabilitazione). Angelini, per l’accusa, avrebbe detto di aver corrisposto ai dipendenti delle due società le relative indennità (malattia, maternità, assegni familiari e permessi retribuiti), «consegnando in maniera indebita la corrispettiva compensazione per i debiti dovuti per i contributi previdenziali a favore dell’Inps». In pratica, portava in detrazione, in modo non dovuto, le somme relative alle indennità. Per questo motivo la condanna prevede anche un risarcimento all’Inps, rappresentato dall’avvocato Annamaria Ranieri in sostituzione di Massimo Cassarino, di 13.334 euro, più 3.000 euro di spese legali.
L’inchiesta è nata nel 2010 a seguito di un’ispezione Inps. L’ispezione ci fu a maggio del 2010, a febbraio dello stesso anno c’era stato il fallimento del gruppo Villa Pini. La difesa ha sostenuto che nel periodo in cui è stato contestato il reato (da aprile a novembre 2009), Angelini non era più il vero datore di lavoro, in quanto non pagava lui gli stipendi ai dipendenti, ma lo faceva la Asl. C’erano delegazioni di pagamento volute dalla Regione che aveva avviato questo sistema per assicurarsi che i dipendenti venissero pagati in maniera prioritaria. Quindi, nell’ottica della difesa, «non si capisce come Angelini avrebbe potuto percepire qualche indebito vantaggio se non gestiva più i pagamenti», dice l’avvocato Tucci.
Incassata la quarta condanna per il suo cliente da parte del tribunale teatino, Tucci ora pensa all’appello di oggi all’Aquila. In prima battuta, per il crac Villa Pini, Angelini è stato condannato a 10 anni, la moglie Anna Maria Sollecito e la figlia Chiara Angelini, a cinque anni ognuna. Assolto, invece, il collegio sindacale, che sarebbe stato tratto in inganno dallo stesso Angelini. (a.i.)
Secondo l’accusa il reato è stato commesso da Angelini in qualità legale rappresentante di due società del gruppo Villa Pini, la Gestioni Manageriali srl (che si occupava di contabilità) e Sanstefar srl (che faceva riabilitazione). Angelini, per l’accusa, avrebbe detto di aver corrisposto ai dipendenti delle due società le relative indennità (malattia, maternità, assegni familiari e permessi retribuiti), «consegnando in maniera indebita la corrispettiva compensazione per i debiti dovuti per i contributi previdenziali a favore dell’Inps». In pratica, portava in detrazione, in modo non dovuto, le somme relative alle indennità. Per questo motivo la condanna prevede anche un risarcimento all’Inps, rappresentato dall’avvocato Annamaria Ranieri in sostituzione di Massimo Cassarino, di 13.334 euro, più 3.000 euro di spese legali.
L’inchiesta è nata nel 2010 a seguito di un’ispezione Inps. L’ispezione ci fu a maggio del 2010, a febbraio dello stesso anno c’era stato il fallimento del gruppo Villa Pini. La difesa ha sostenuto che nel periodo in cui è stato contestato il reato (da aprile a novembre 2009), Angelini non era più il vero datore di lavoro, in quanto non pagava lui gli stipendi ai dipendenti, ma lo faceva la Asl. C’erano delegazioni di pagamento volute dalla Regione che aveva avviato questo sistema per assicurarsi che i dipendenti venissero pagati in maniera prioritaria. Quindi, nell’ottica della difesa, «non si capisce come Angelini avrebbe potuto percepire qualche indebito vantaggio se non gestiva più i pagamenti», dice l’avvocato Tucci.
Incassata la quarta condanna per il suo cliente da parte del tribunale teatino, Tucci ora pensa all’appello di oggi all’Aquila. In prima battuta, per il crac Villa Pini, Angelini è stato condannato a 10 anni, la moglie Anna Maria Sollecito e la figlia Chiara Angelini, a cinque anni ognuna. Assolto, invece, il collegio sindacale, che sarebbe stato tratto in inganno dallo stesso Angelini. (a.i.)