Cipressi, condanna a 30 anni
Uccise con un coccio di vetro il musicista di Filippone. La difesa pronta all’appello
CHIETI. Trent’anni di carcere per aver ucciso Fausto Di Marco. Il venticinquenne teatino Emanuele Cipressi è stato condannato ieri mattina con rito abbreviato dal giudice Isabella Allieri che lo ha ritenuto colpevole di omicidio volontario, dopo tre ore di dibattimento a porte e chiuse al terzo piano del tribunale teatino. Il giudice ha sposato la tesi dell’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Giancarlo Ciani che aveva chiesto 30 anni, riconoscendo anche tutte le aggravanti proposte dal pm. La difesa, affidata agli avvocati Marco Femminella e Omar Sanelli, aveva invece insistito sulla tesi della non volontà di uccidere, che però non è passata. Cipressi, padre di due figli, perderà la potestà genitoriale nel corso della reclusione ed è stato condannato anche a dare alle parti civili una provvisionale di 200mila euro.
La morte del musicista. Era la notte del 9 ottobre di quasi un anno fa quando il musicista di Filippone, Fausto Di Marco, 40 anni, fu colpito alla gola da Cipressi con un coccio di vetro proveniente da una bottiglia rotta. Di Marco aveva passato la notte in giro per locali, così come aveva fatto Cipressi. I due si incontrano in un circolo privato di Chieti scalo, che ora ha chiuso i battenti. Di mezzo c’era anche una ragazza amica di Cipressi, con cui Di Marco stava parlando e che, secondo Cipressi, la vittima stava infastidendo. A un certo punto il venticinquenne di Chieti scalo prende il coccio di vetro e colpisce alla gola l’altro, recidendo l’arteria succlavia, causa della morte.
La difesa. Secondo gli avvocati Femminella e Sanelli Cipressi non voleva uccidere. «Ha sferrato un solo colpo dall’alto verso il basso: se avesse voluto uccidere lo avrebbe fatto in orizzontale, in modo da essere più sicuro di recidere tutte le vene del collo», ha considerato Femminella, «lo ha fatto perché pensava di dover difendere la ragazza con cui aveva passato la serata e infatti si era frapposto fisicamente tra lei e Di Marco. Alla vista del sangue si è spaventato e non ha pensato neanche a lavare i vestiti sporchi di sangue. Non è questo il comportamento di chi voleva uccidere». L’avvocato se la prende anche con chi ha assistito all’episodio: «È sconvolgente la irresponsabilità dei ragazzi che erano presenti», ha detto, spiegando di aver assistito a testimonianze che, a suo parere, non avevano riportato il vero. Sanelli ha rincarato la dose: «Molti di loro si sono presi gioco delle istituzioni». La difesa, una volta lette le motivazioni della sentenza, si dice pronta a fare appello.
L’accusa. Il pm Ciani ha insistito sulle aggravanti, contestando i «futili motivi» del gesto che ha portato alla morte Di Marco, «la minorata difesa» della vittima (che aveva bevuto e dunque non era completamente lucida) e il «mezzo insidioso» utilizzato per colpire. Il giudice ha ritenuto valide tutte e tre le aggravanti, cosa che ha contribuito a innalzare il conteggio degli anni di reclusione, contando che si trattava di un rito abbreviato, che comporta uno sconto di pena.
La parte civile. Il fratello Pio Di Marco e la madre Florinda D’Aloisio si sono costituiti parte civile, entrambi assistiti dagli avvocati Alessandro e Paola Miscia. Le due parti civili hanno chiesto un risarcimento danni da un milione e mezzo di euro ciascuno, di cui si tratterà in giudizio separato. Il giudice ha intanto concesso loro una provvisionale di 100mila euro ciascuno. Ieri mattina, accompagnato dai due avvocati, in tribunale si è presentato solo Pio Di Marco. Per tre ore è stato chiuso nella stessa stanza con il giovane che ha ucciso il fratello. Cipressi è arrivato dal carcere con la polizia penitenziaria. Ha assistito a tutta l’udienza, ma è stato riportato in carcere quando il giudice si è ritirato per la decisione. Non c’era quando il magistrato ha pronunciato la condanna a trent’anni.
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La morte del musicista. Era la notte del 9 ottobre di quasi un anno fa quando il musicista di Filippone, Fausto Di Marco, 40 anni, fu colpito alla gola da Cipressi con un coccio di vetro proveniente da una bottiglia rotta. Di Marco aveva passato la notte in giro per locali, così come aveva fatto Cipressi. I due si incontrano in un circolo privato di Chieti scalo, che ora ha chiuso i battenti. Di mezzo c’era anche una ragazza amica di Cipressi, con cui Di Marco stava parlando e che, secondo Cipressi, la vittima stava infastidendo. A un certo punto il venticinquenne di Chieti scalo prende il coccio di vetro e colpisce alla gola l’altro, recidendo l’arteria succlavia, causa della morte.
La difesa. Secondo gli avvocati Femminella e Sanelli Cipressi non voleva uccidere. «Ha sferrato un solo colpo dall’alto verso il basso: se avesse voluto uccidere lo avrebbe fatto in orizzontale, in modo da essere più sicuro di recidere tutte le vene del collo», ha considerato Femminella, «lo ha fatto perché pensava di dover difendere la ragazza con cui aveva passato la serata e infatti si era frapposto fisicamente tra lei e Di Marco. Alla vista del sangue si è spaventato e non ha pensato neanche a lavare i vestiti sporchi di sangue. Non è questo il comportamento di chi voleva uccidere». L’avvocato se la prende anche con chi ha assistito all’episodio: «È sconvolgente la irresponsabilità dei ragazzi che erano presenti», ha detto, spiegando di aver assistito a testimonianze che, a suo parere, non avevano riportato il vero. Sanelli ha rincarato la dose: «Molti di loro si sono presi gioco delle istituzioni». La difesa, una volta lette le motivazioni della sentenza, si dice pronta a fare appello.
L’accusa. Il pm Ciani ha insistito sulle aggravanti, contestando i «futili motivi» del gesto che ha portato alla morte Di Marco, «la minorata difesa» della vittima (che aveva bevuto e dunque non era completamente lucida) e il «mezzo insidioso» utilizzato per colpire. Il giudice ha ritenuto valide tutte e tre le aggravanti, cosa che ha contribuito a innalzare il conteggio degli anni di reclusione, contando che si trattava di un rito abbreviato, che comporta uno sconto di pena.
La parte civile. Il fratello Pio Di Marco e la madre Florinda D’Aloisio si sono costituiti parte civile, entrambi assistiti dagli avvocati Alessandro e Paola Miscia. Le due parti civili hanno chiesto un risarcimento danni da un milione e mezzo di euro ciascuno, di cui si tratterà in giudizio separato. Il giudice ha intanto concesso loro una provvisionale di 100mila euro ciascuno. Ieri mattina, accompagnato dai due avvocati, in tribunale si è presentato solo Pio Di Marco. Per tre ore è stato chiuso nella stessa stanza con il giovane che ha ucciso il fratello. Cipressi è arrivato dal carcere con la polizia penitenziaria. Ha assistito a tutta l’udienza, ma è stato riportato in carcere quando il giudice si è ritirato per la decisione. Non c’era quando il magistrato ha pronunciato la condanna a trent’anni.
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