Crollo Autoparco, stranieri al gelo
Era il tetto di decine di albanesi e nordafricani venuti in città per lavorare.
L’AQUILA. Il crollo della grande pensilina all’interno dell’autoparco comunale ha costretto gli stranieri che ci dormivano dentro a trovare una nuova sistemazione per la notte. Una corsa contro il tempo per un posto dove ripararsi. E’ questa la sfida per chi arriva all’Aquila per cercare lavoro tra le imprese di costruzione impegnate nel post-sisma.
Romeni, albanesi o nordafricani, sono arrivati in città attirati dalla prospettiva di un posto di lavoro in una delle tante imprese che stanno allestendo i ponteggi. Ma sono sconosciuti a qualsiasi censimento. Nasce così la «città degli invisibili», di chi sa poco o niente del Progetto Case o dell’assistenza in alberghi o nelle tende. Di chi non sa molto neanche delle temperature gelide degli inverni aquilani.
La città invisibile che all’Aquila inizia tra i blocchi di cemento spezzati dell’autoparco, dove hanno lasciato i panni stesi e la spesa degli ultimi giorni. Questa parte ora è transennata per ragioni di sicurezza, ma questo non scoraggia chi deve a tutti i costi trovare un tetto. Tra loro, un’ottantina di persone di etnia araba: tunisini, marocchini e algerini per la maggiore che si radunano nell’area del parcheggio del centro commerciale Meridiana, non lontano dalla stazione. Vivono occupando baracche e tensostrutture per la notte.
Il giorno se fa caldo basta un cartone per stendersi sul prato. Così il parcheggio diventa una casbah dove riposarsi e mangiare gratis due volte al giorno. Proprio lì, infatti, è stata allestita una grande tenda del ministero dell’Interno, gestita ora dalla Vivenda per conto del Comune. Qualcuno ha provato a dormire anche lì dentro, ma poi si è visto rispedire fuori con tanto di valigie.
In cambio di un pacchetto di Diana Hachemin, tunisino d’origine, ti racconta la sua storia.
«Sto a Parma, come molti miei compagni, da diversi anni», spiega. «In molti, però, ci hanno consigliato di venire all’Aquila e lavorare qui. Vogliamo dare una mano», aggiunge «spero che qualcuno ci aiuti a trovare un letto, anche una tenda».
Per altre venti sigarette, il tunisino che vive a pochi chilometri da Hammamet, ti fa vedere il suo alloggio provvisorio. Si tratta di una casetta in legno in fase costruzione poco distante dal supermercato. Non ci sono le finestre, ma dentro c’è spazio per un materasso, poggiato a terra, delle lenzuola e una lunga serie di trolley che contengono di tutto, anche due-tre copie del Corano.
«Stamattina però», dice ancora «è arrivata la polizia. Ci vogliono fuori da qui. Non sappiamo che fare, forse andremo in Comune a chiedere assistenza». E intanto è arrivato il freddo.
Romeni, albanesi o nordafricani, sono arrivati in città attirati dalla prospettiva di un posto di lavoro in una delle tante imprese che stanno allestendo i ponteggi. Ma sono sconosciuti a qualsiasi censimento. Nasce così la «città degli invisibili», di chi sa poco o niente del Progetto Case o dell’assistenza in alberghi o nelle tende. Di chi non sa molto neanche delle temperature gelide degli inverni aquilani.
La città invisibile che all’Aquila inizia tra i blocchi di cemento spezzati dell’autoparco, dove hanno lasciato i panni stesi e la spesa degli ultimi giorni. Questa parte ora è transennata per ragioni di sicurezza, ma questo non scoraggia chi deve a tutti i costi trovare un tetto. Tra loro, un’ottantina di persone di etnia araba: tunisini, marocchini e algerini per la maggiore che si radunano nell’area del parcheggio del centro commerciale Meridiana, non lontano dalla stazione. Vivono occupando baracche e tensostrutture per la notte.
Il giorno se fa caldo basta un cartone per stendersi sul prato. Così il parcheggio diventa una casbah dove riposarsi e mangiare gratis due volte al giorno. Proprio lì, infatti, è stata allestita una grande tenda del ministero dell’Interno, gestita ora dalla Vivenda per conto del Comune. Qualcuno ha provato a dormire anche lì dentro, ma poi si è visto rispedire fuori con tanto di valigie.
In cambio di un pacchetto di Diana Hachemin, tunisino d’origine, ti racconta la sua storia.
«Sto a Parma, come molti miei compagni, da diversi anni», spiega. «In molti, però, ci hanno consigliato di venire all’Aquila e lavorare qui. Vogliamo dare una mano», aggiunge «spero che qualcuno ci aiuti a trovare un letto, anche una tenda».
Per altre venti sigarette, il tunisino che vive a pochi chilometri da Hammamet, ti fa vedere il suo alloggio provvisorio. Si tratta di una casetta in legno in fase costruzione poco distante dal supermercato. Non ci sono le finestre, ma dentro c’è spazio per un materasso, poggiato a terra, delle lenzuola e una lunga serie di trolley che contengono di tutto, anche due-tre copie del Corano.
«Stamattina però», dice ancora «è arrivata la polizia. Ci vogliono fuori da qui. Non sappiamo che fare, forse andremo in Comune a chiedere assistenza». E intanto è arrivato il freddo.