«De Cecco nel pantheon dei grandi abruzzesi» 

Lanciano. Legnini (Csm) alla cerimonia in ricordo del professore: teneva al rapporto economia-giustizia

LANCIANO. La targa in marmo affissa all'ingresso del Palazzo degli studi racconta seppure in maniera semplice la grande riconoscenza della città a Marcello De Cecco, illustre economista che nacque a Lanciano il 17 settembre del 1939 e iniziò i suoi studi proprio nell’ex Liceo lungo corso Trento e Trieste. Ieri mattina in una sala gremita di personaggi delle istituzioni, della politica, dell'economia e della cultura, il Palazzo degli Studi è stato intitolato proprio al professor De Cecco che, tra l’altro, era stato premiato negli anni scorsi anche con il “Frentano d’Oro”, il riconoscimento verso i lancianesi che si sono affermati all’estero o in altre città italiane istituito dall’omonima associazione culturale presieduta da Ennio De Benedictis.
Nell’aula magna si è poi continuato la due giorni di discussione “Mani invisibili” affrontando in particolare il tema “Impresa e giurisdizione”. Tra gli altri relatori c’erano Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm); Luciano D’Amico, rettore dell’Università di Teramo; Emanuele Felice, dell’Università d’Annunzio. Di Marcello De Cecco Legnini ha ricordato le frequentazione, l’ultima delle quali una visita del professore al Csm nel corso della quale dialogarono sui temi legati al rapporto economia-giustizia. E lo stesso Legnini ha espresso parole di forte plauso al sindaco Mario Pupillo, e all’“Associazione Marcello De Cecco”, per l’iniziativa dell’intitolazione del Palazzo degli Studi. Il vicepresidente del Csm ha anche aggiunto che De Cecco va annoverato nel pantheon dei grandi abruzzesi insieme, per citare solo i giuristi e gli economisti territorialmente più vicini a Lanciano, a Silvio Spaventa, Giuseppe De Thomasis, Raffaele Mattioli, Federico Caffè ed Ettore Troilo.
Nel corso del convegno Legnini ha sottolineato che De Cecco, in uno dei suoi articoli su Repubblica, nel 1993, dopo l’esplosione di tantentopoli, qualificò la corruzione in Italia un fenomeno di “Keynesismo delinquenziale”. «Classi politiche e imprenditori che», ha ricordato Legnini, «con l’aiuto della criminalità organizzata, avevano instaurato un sistema con la fissazione di quote di partecipazione al grande sacco della spesa pubblica. Poi il crollo del muro di Berlino, le regole di Maastricht e l’interruzione della spirale del debito in funzione della costruzione europea, l’azione della magistratura che ha scoperchiato la pentola che divorava le finanze pubbliche e inquinava il mercato, fenomeno che si è riproposto in forme nuove nel tempo che viviamo». (cr.la)
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