Delitto di San Salvo Nuova perizia su Pagano
Il Gup Capuozzo, a sorpresa, ordina ulteriori accertamenti nel rito abbreviato Nella lettera di perdono l’accusato scrisse di avere agito sotto l’effetto di droghe
VASTO. «È assolutamente necessario verificare con una perizia collegiale se Vito Pagano la notte in cui fu uccisa Albina Paganelli fosse in grado di intendere e di volere». Con queste parole il Gup, Anna Rosa Capuozzo, ieri ha disposto a sorpresa il rinvio del processo per omicidio a carico di Vito Pagano, 28 anni, di San Salvo. La decisione, accolta con soddisfazione dai difensori dell’imputato, gli avvocati Clementina De Virgilis e Fiorenzo Cieri, non è stata contestata dai legali della parte civile, Antonello e Giovani Cerella. L’accusa ha chiesto 30 anni di carcere.
La perizia. Il 28 maggio per Pagano partiranno nuovi accertamenti per verificare il grado di cognizione razionale dell’operaio la notte del 14 agosto scorso. Gli esami saranno eseguiti da 4 criminologi: Bellomo, Orsi, D’Ovidio e Mastronardi. «Di sicuro la sera dell’omicidio la percezione del reato nel giovane fu contaminata dall’uso di stupefacenti», insistono gli avvocati Cieri e De Virgilis. Con il passare dei mesi anche Pagano si sta rendendo conto della gravità del suo gesto. Il giovane ieri mattina ha più volte chiesto aiuto con lo sguardo ai genitori non riuscendo a nascondere la disperazione.
La lettera. «Affido allo scritto le parole che da mesi non ho il coraggio di pronunciare, tanto è profonda la repulsione per l’atto da me compiuto contro “zia Pina”», ha scritto Pagano in una lettera alle parti civili. «Zia Pina era una persona di famiglia a cui ero legato da grande affetto. Giuro», prosegue il giovane, «che solo dopo mesi e dopo che il mio corpo ha cominciato a espellere tutta la droga che ha ingerito, mi accorgo di quanto ho causato. Vi assicuro che non riesco a ricordare il momento in cui l’ho uccisa. Non cerco giustificazioni ma vi assicuro che non ero più me stesso, assediato dal bisogno irrefrenabile di assumere stupefacenti, dalle crisi di astinenza che mi torturavano e dalla paura di essere scoperto dai miei genitori. Mi ero confidato con zia Pina che mi aveva prestato anche dei soldi. Sono pentito e chiedo perdono».
Le parti civili. Probabilmente si aspettavano la sentenza ma davanti alla decisione del giudice di approfondire gli esami psichiatrici, gli avvocati delle parti civili non hanno ribattuto nè eccepito. «È giusto che venga fatta la massima chiarezza su una vicenda che ha stravolto due famiglie», ha commentato l’avvocato Giovanni Cerella che col figlio Antonello rappresenta Valentino Paganelli e Concettina Cupaiolo, fratello e figlia della vittima. «Ci rimettiamo alle decisioni del giudice». (p.c.)
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