IL DELITTO DI VASTO
Di Florio: la condanna di Di Lello e di chi si fa giustizia da sé
Intervista al procuratore capo il giorno dopo la sentenza per l’omicidio di Italo D’Elisa, Il magistrato: «Due vite distrutte e una destinata al carcere diventano una tragedia unica»
CHIETI. La morte di Roberta Smargiassi, investita con l’auto da Italo D’Elisa. I tre colpi di pistola che hanno ammazzato, il primo febbraio, l’investitore. E infine la sentenza dai tempi record che segna il destino del fornaio Fabio Di Lello, sono tre atti di una sola tragedia scatenata da un modo distorto di farsi giustizia. L’intervista al procuratore capo di Vasto, Giampiero Di Florio, ci aiuta a capire perché.
Procuratore Di Florio, l'omicidio commesso da Di Lello che cosa le evoca?
«Il primo pensiero che mi è venuto in mente è quello di Giovanni Vivaldi, il personaggio del film di Monicelli “Un borghese piccolo piccolo”. La serie di analogie trova il punto di convergenza nella vendetta privata. Il personaggio del film (interpretato da Alberto Sordi, ndr) sottrae alla polizia l'autore dell'omicidio del figlio per farsi giustizia da solo».
Lei ha dichiarato che la sentenza è anche un monito per gli imbecilli del web che incitavano ad uccidere Italo. Perché?
«Il web alimenta una serie di animi violenti che scaricano lì dentro tutta la loro rabbia, amplificandola, fino al punto di diventare morbosi. Quando si creano questi miti, di uno che addirittura ammazza un'altra persona, non c'è alcun tipo di giustificazione che tenga».
La piazza virtuale ha determinato il corso dei fatti?
«No, non c'è una prova diretta di questo. Il web si è scatenato nel momento in cui il fatto è accaduto e sono stati tutti pronti a giustificare l'azione. Ma è un'azione che non può essere giustificata, né da un punto di vista di diritto naturale, ma anche e soprattutto da un punto di vista etico-morale. Il problema è uno solo: cercare di far capire alle persone che una giustizia domestica, fatta da te, non ha nulla a che vedere con la giustizia dello Stato. Un concetto che si può esprimere è che ciò che lega l'individuo alla collettività è proprio la giustizia».
Abbiamo assistito ad un’inchiesta veloce. La macchina della giustizia ha dato l'esempio massimo di efficienza.
«Abbiamo utilizzato gli strumenti previsti dal codice di procedura penale. Nel momento in cui abbiamo ritenuto la prova evidente, per la ricostruzione che siamo riusciti a fare grazie ai carabinieri di Vasto, al Ris e alle telecamere, non c'erano margini di dubbio. Per cui era inutile attendere».
Secondo lei un processo veloce è una risposta moderna ai fatti delittuosi?
«Con i propri mezzi si cerca di stare al passo con i tempi, di dare delle risposte per affermare la supremazia dello Stato rispetto a fatti violenti».
Infine del delitto di Vasto e del processo quale immagine le resterà?
«Il pensiero di tre famiglie distrutte. Due giovani vite che non ci sono più e una terza che dovrà seguire un percorso diverso».