Fara Filiorum Petri, Sant'Antonio Abate e il rito delle farchie / Video

L'alzata in piazza oggi alle 15, e un'ora e mezza dopo l'accensione delle pile. Il regista Dino Viani racconta per il Centro l'incontro con l'emigrato Nicola

FARA FILIORUM PETRI. Sulla ricorrenza del Sant’Antonio con le farchie di Fara Filiorum Petri, pubblichiamo un articolo del regista Dino Viani.
Da 17 anni su Fara veglia uno sguardo silente e malinconico. È quello di Nicola, emigrante farese a Buenos Aires. Ricordo quella mattina del dicembre 2001 come ieri, mentre mi aggiravo nelle calles della capitale porteña. I nostri destini si incrociarono in una esquina della Boca, tra il fumo dell’asado di strada che stava cucinando e la gancia de futboll dove giocava Maradona.

Lo spettacolo delle farchie a Fara Filiorum Petri
A Fara Filiorum Petri (Chieti) si è ripetuto anche oggi - per Sant'Antonio Abate - il rito delle farchie, le pile di fascine alte più di dieci metri che ardono come candele fino all'alba. L'arrivo delle farchie, la loro disposizione a cerchio, l'alzata, lo strepitio dei mortaretti che annuncia la loro accensione e le fiamme che si sollevano in alto rischiarando il cielo rappresentano uno spettacolo davvero unico (video per gentile concessione di Massimo Di Crescenzo)

Quando gli chiesi di dove fosse, rispose: «So’ de la Fare» e con un piglio orgoglioso aggiunse: «Se fa’ angore le Farchie a lu paese me? Ce fa’ angore la neve?». Questa è Fara Filiorum Petri. Queste sono le Farchie. Anche per chi, forse, non le potrà più vedere. È per te Nicola che scrivo. È per quel delicato sorriso col quale quel giorno ci siamo congedati senza che mi dicessi il tuo nome per intero, per paura di essere giudicato. «Nicola. Nicola e baste». Non so se mai nessuno ti farà leggere queste parole. Non so se tu un giorno avrai la fortuna di tornare «A lu paese chiù belle che c’è». Ma sappi che qui tutti sanno di te, ti aspettano, e ti accoglierebbero come si accolgono gli eroi dell’antichità.

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A Fara, quest’anno, c’è nell’aria un’ansia diversa. Una voglia di rimettere le cose a posto, come tradizione vuole. Dopo la grande nevicata dello scorso anno in cui, per la prima volta nella storia, per motivi di sicurezza, le Farchie sono state tagliate a metà. Una mutilazione grave per ogni farese. Un dolore insanabile. Uno strazio. Più che un giorno di festa sembrava un mesto funerale. E allora quest’anno tutta la comunità si è stretta ancora di più. I farchiaroli, insieme ai paesani, alle operose donne, all’amministrazione comunale e al suo sindaco, Camillo D’Onofrio, memori di quanto accaduto, sono in trepidante attesa per alzare verso il cielo i totem di canne, simbolo di unione e di pace di un paese all’urlo orgoglioso de “Sand'Andone!”. Con quel senso di virilità e bellezza mista a malinconia che ogni farese ha nel momento in cui le Farchie vengono accese e bruciate. Dopo giorni di festa, canti, cibo accompagnato dal vino. Ognuno vorrebbe ritardare quel momento come vorremmo trattenere la vita quando sentiamo che il tempo ci sfugge. Ma il fuoco, inesorabilmente, bruciando le canne, riscalderà e illuminerà l’area antistante il cimitero e le urla liberatorie con i canti di gioia prenderanno il sopravvento. Allora sappi, Nicola, che cercherò il tuo sguardo. Quello di quel bambino che tanti anni fa lasciò questo meraviglioso paese. Sono certo che ci sarai.
Dino Viani
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