Fiat, muro contro gli operai reintegrati a Melfi "Non possono parlare all'assemblea Fiom di Chieti"

L'azienda torinese nega a Giovanni Barozzino e Antonio Lamorte l'ingresso nello stabilimento di Atessa (Chieti) del gruppo. Avrebbero dovuto parlare all'assemblea sindacale della Fiom, lo faranno a Pescara nella sede della Cgil

CHIETI. «Vuole sapere l’aria che tira in Abruzzo dopo la decisione di Federmeccanica di azzerare il nostro contratto? Sono preoccupato, c’è tensione, non c’è dialogo. Pensi che nell’assemblea di domani (oggi per chi legge n.d.r.) alla Sevel avevamo invitato anche due degli operai licenziati, e poi reintegrati, della Fiat di Melfi ma l’azienda ci ha detto che non li avrebbe fatti entrare perché indagati». Il segretario regionale della Fiom-Cgil Nicola Di Matteo è di solito posato nelle sue dichiarazioni, ma il cambio di scena nei rapporti azienda-sindacato lo fanno per la prima volta guardare al peggio anche in Abruzzo. «Se essere oltranzisti vuol dire difendere fino in fondo i diritti dei lavoratori ebbene, sì, sono fiero di esserlo», afferma rispondendo alle accuse che piovono sulla Fiom.

Quanto avvenuto ieri nella fabbrica più grande d’Abruzzo (5mila operai), dove si producono i furgoni per Europa e Asia, è il primo segnale su come le cose stanno cambiando nella Val di Sangro. «La Sevel ci ha detto che i due delegati di Melfi Giovanni Barozzino e Antonio Lamorte sono comunque ospiti non graditi. Avevamo chiesto di poterli farli parlare insieme al segretario nazionale Maurizio Landini. Stiamo anche pensando ad eventuali azioni legali, che stiamo studiando», dicono alla Fiom.

Una versione che viene confermata e così spiegata direttamente dalla Fiat: «La Sevel di Atessa (lo stabilimento nel chietino dove si producono i furgoni Ducato, ndr) ha ritenuto di negare l’accesso al proprio stabilimento ai due operai coinvolti nei fatti di Melfi, considerando la richiesta della Fiom-Cgil di Chieti in contrasto con le vigenti disposizioni di legge e di contratto in materia di partecipazione di esterni alle assemblee sindacali retribuite».

Il segretario Fiom Landini, dopo l’assemblea Sevel, questa mattina tiene una conferenza stampa alla Cgil e nel pomeriggio è alla festa di Sinistra ecologia e libertà a Villa Sabucchi. «All’Abruzzo la Fiom ci tiene», commenta Di Matteo, «siamo il sindacato di maggioranza relativa e presente in quasi tutte le piccole e medie imprese, impossibile non fare i conti con noi. Ma anche qui vogliono imporre la loro legge che è quella dell’imposizione e che porta allo sfaldamento dell’unico strumento di garanzia dei diritti dei lavoratori. L’impresa è al centro di ogni cosa e tutti gli altri sono animali da gregge, senza contratto possono fare tutto».

Di Matteo, la posizione di Federmeccanica è però vista anche come segnale di sconfitta del sindacato, reo di non aver saputo gestire la crisi, di non aver ascoltato la fame di lavoro delle famiglie, di non essere propositivo, di non aver trovato un punto concreto sul quale costruire una trattativa attendibile. Che cosa risponde?

«Chi dice queste cose o è un bugiardo o non sa che la Fiom è sempre stata disposta a trattare senza, però, avere la clava sulla testa. Abbiamo dato la disponibilità a discutere tutto nel contratto, uno strumento che metteva le parti a un livello paritario. Invece, qui adesso si vuole portare quello che c’è da tempo in America: l’azienda decide così e basta. A questo punto, chi è, secondo lei, oltranzista?».

Si riferisce al suo amico Marchionne? «Mio amico? Sì, qualche anno fa, lo ricordo, l’avevo ritenuto illuminante per come teneva in considerazione i lavoratori: con lui avevamo firmato un integrativo, pensavo che fosse un abruzzese vero. Mi ha deluso, si è rivelato un cinico. Un altro “bel campione”, poi, è l’altro abruzzese Bonanni (di Bomba n.d.r.), il segretario Cisl. E dentro ci metto un altro che ha che fare con l’Abruzzo: il ministro Sacconi, che ha la moglie di Pollutri».

Ed è proprio dalla provincia di Chieti, dove lavora oltre il 60 per cento dei metalmeccanici abruzzesi, che emergono gli ultimi dati sulla cassa integrazione. Le ore sono finite, oltre 65 aziende nella Val di Sangro hanno avviato la mobilità per mille dipendenti con la procedura del prepensionamento. Tutte aziende quindi che hanno lavoratori in esubero con carichi di lavoro che però aumentano. «Malgrado questo scenario non c’è stata una, dico una, presa di posizione da parte delle istituzioni», denuncia il segretario provinciale Fiom Marco Di Rocco, «siamo in piena crisi sociale, con i redditi tagliati del 30 per cento non c’è molto da fare».

Proposte? «C’è il progetto del Campus automotive che conta molto per la Val di Sangro, ma il presidente Chiodi ha tolto le risorse dal masterplan e dai fondi Fas. Se la Regione trovasse il modo di riprendere quei finanziamenti, può essere un segnale da cui ripartire. Tutti insieme».
© RIPRODUZIONE RISERVATA