Fraticelli: le strade deserte come ai tempi della guerra 

Da corso Marrucino a piazzale Marconi, città vuota per le norme anti contagio «Sembra essere tornati al coprifuoco: per mesi mi nascosi nel campanile»

CHIETI. Le strade vuote e il silenzio surreale. Da corso Marrucino a piazzale Marconi, la Chieti del “tutti a casa” ai tempi del coronavirus fa impressione anche a chi era abituato a lamentarsi per il progressivo svuotamento della città. E c’è chi guarda la guerra contro il virus sconosciuto ricordando un’altra guerra, questa volta combattuta con bombe e fucili. «Sembra essere tornati al coprifuoco», dice Raffaele Fraticelli. Il grande poeta teatino, 96 anni compiuti lo scorso 9 gennaio, azzera il tempo facendo un balzo all’indietro di quasi 80 anni, per ripiombare all’epoca della Seconda guerra mondiale. Gli abbiamo telefonato ieri mattina e lui, dalla sua casa di via Quarantotti, ha ricordato quei momenti. «Sono ormai quasi un’ombra», si è schermito al telefono. Udito e vista indeboliti, intatta invece la capacità di far rivivere con poche immagini quegli anni difficili, in cui, come adesso, la città si svuotava. Chieti “città aperta”, che accoglieva gli sfollati provenienti da tutto il circondario, si fermava durante il coprifuoco. La misura scattava all’imbrunire, ma le strade si svuotavano ben prima. La paura era quella di essere rastrellati dai soldati tedeschi. «Messe soppr’ a li càmie e parte! e... addije!», recita un verso della poesia “Le fèmmene de Chiete”, in cui il poeta descrive la vita teatina ai tempi della guerra. Vita che Fraticelli ricorda molto bene. Sapeva di essere finito nelle liste di chi poteva essere caricato «soppr’ a li càmie». E per questo motivo fu costretto a nascondersi per mesi in città, lasciando la propria casa. Trovò rifugio nella chiesa della Trinità. Precisamente sul campanile, dove aveva trovato accoglienza in «una baracchetta» arrangiata. E ora, ai tempi della quarantena che costringe le famiglie a casa, ricorda quel nascondiglio che gli salvò la vita grazie «a quell’antico parroco» che lo aveva protetto. «Sono stato un interprete di quello “scappa scappa” anche io durante la guerra», ha detto. «Ho trovato salvezza nel campanile della chiesa della Trinità. Mi andavano cercando, avevano il mio nome». Tenuto al riparo dal pericolo della deportazione, sopravviveva a stento, grazie a «un tozzetto di pane che mi portava il parroco», ha raccontato. E mentre stava lassù, dipingeva. «Sono stato nascosto per mesi sopra la chiesa. Per passare il tempo dipingevo. Ho un quadro del campanile la cui copia ho dato a tutta la mia famiglia. Simboleggia gli anni della guerra, in cui mi sono dovuto nascondere per non essere preso». Gli anni in cui la città si azzittiva, nonostante gli sfollati, attanagliati da fame e povertà. «E li sfullate? Forse centimile ! Dentr’ a li fùneche, sott’ a li titte, a li chiese, ammonte pi’ li campanile ... e, senz’arifiata’, stracciate, zitte!», recita un altro verso della poesia.
Tutti chiusi in casa. E senza i benefici e le comodità che oggi abbiamo a disposizione durante questa quarantena. Al riparo dal rischio di contagio da Covid-19, il poeta vive nella sua casa di via Quarantotti, insieme alla moglie Giuliana Schiazza e a uno dei figli, Paolo Fraticelli. È autonomo, anche se non esce se non per le emergenze. La mattina si sveglia presto, intorno alle 6, si fa la barba e inizia la giornata. Ieri si è dedicato al giardinaggio, nel suo cortile che guarda la Maiella, verso Bucchianico. Una sua nipote, Enrica Patrizio, è medico a Milano, in prima fila contro l’emergenza. E intanto la città che sembra tornata ai tempi del coprifuoco cerca di reagire. Dai balconi della quarantena risuonano canzoni e si leva l’Inno d’Italia. Sui social network Chieti fa sentire che c’è, ripartendo anche e soprattutto dalla sua cultura. Di cui Fraticelli è una delle più grandi voci viventi. (cr.ch)
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