Guido Grifone compie 97 anni: è l’ultimo partigiano di Chieti

Durante la guerra fu condannato a morte 3 volte ma scampò alla fucilazione.Uccisi invece i due fratelli

CHIETI. Durante la guerra fu condannato a morte tre volte e scampò alla fucilazione che uccise i due fratelli minori. E ieri, 70 anni e 30 giorni dopo una delle pagine più efferate della storia della Resistenza, Guido Grifone, uno degli ultimi partigiani teatini, ha compiuto 97 anni. Oggi «nonno Guido» vive da solo in un appartamento del centro, passa le giornate a passeggiare o sugli autobus che lo portano a spasso per Chieti e fino a Pescara: esce al mattino presto e rientra per cena.

Fino a non molto tempo fa ogni giorno, puntuale a mezzogiorno, ordinava il pranzo a Percorso, su corso Marrucino. Oggi è ancora indipendente, ma preferisce i manicaretti di una collaboratrice domestica. Chiacchiera della moglie Marianna, sposata nel 1946, della figlia architetta e delle due nipoti e del suo lavoro di elettromeccanico. Ma quella ferita insanabile traspare solo a tratti, il tempo di ricordare quanto la guerra fosse «maledetta e senza scampo». «Non mi piacciono le ricorrenze, perché mi fanno ricordare cose brutte», spiega Guido Grifone che raramente vuole rimestare quel dolore, pur conservando intatta la memoria di un orrore fin troppo sottovalutato. In famiglia erano 8, quattro ragazzi e due femmine. I maschi – Umberto, Guido, Alfredo e Aldo – si unirono alla banda Palombaro, opponendosi ai tedeschi insieme ad altri giovani. Nell’inverno del 1944 scoprirono che qualcuno li aveva traditi, raccontando della loro attività. «A quel punto», racconta Guido, secondogenito della grande famiglia Grifone, «ci consegnammo spontaneamente, perché sapevamo che altrimenti avrebbero distrutto la nostra famiglia. Ma», ricorda amaro, «l’hanno distrutta lo stesso».

Umberto, il primogenito, fu liberato dopo due giorni, il 5 febbraio del 1944, scagionato da più giovani. E alla mamma, mentre erano in attesa di processo, i tre scrissero una lettera accorata: «Anche Iddio ci perdonerà perché la nostra coscienza non è macchiata. Solo Iddio potrà giudicarci. Tutti sanno che non siamo delinquenti e che abbiamo solo fatto del bene e sempre lavorato». Quattro giorni dopo iniziò un processo farsa a palazzo d’Achille. Oltre ai tre fratelli Grifone alla sbarra erano Pietro Cappelletti, Nicola Cavorso, Massimo Beniamino Di Matteo, Raffaele Di Natale, Stelio Falasca, Floriano Finore, Vittorio Mannelli, Giovanni Potenza e Aldo Sebastiani. «Chiesi perché non ci fosse un avvocato», ricorda l’anziano partigiano, «anche perché non ci addebitarono nessun motivo». Finì dopo un giorno con la condanna all’impiccagione emessa dal tribunale militare tedesco per 9 di loro. Trenta anni di lavori forzati per Guido Grifone, Finore e Potenza. Da lì Guido fu prigioniero prima a Civitaquana, poi a Teramo. Il fratello maggiore Umberto, intanto, era alla disperata ricerca dei corpi di Aldo e Alfredo: li trovò ad agosto, in una cava di argilla, a colle Pineta a Pescara, dove erano stati ammazzati 6 mesi prima. Di quell’orrore, oggi, porta avanti la memoria la sezione teatina dell’associazione nazionale partigiani, intitolata ad Alfredo Grifone e presieduta da Aldo Mario Grifone nipote omonimo del giovane assassinato 70 anni fa. «Il 25 aprile», annuncia, «daremo la tessera onoraria a Guido Grifone». Perché la memoria non si perda e l’orrore non si ripeta mai.

Francesca Rapposelli

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