Il pasticcio della villa confiscata alla coppia rom
Il lussuoso edificio, ora del Comune, era stato donato dal nonno ai nipoti nel 2005 L’avvocato Cerella: non è dei Bevilacqua e non è frutto dei proventi della droga
VASTO. Un atto di donazione datato 9 marzo 2005 rimette in discussione la confisca della villa miliardaria di via Bontempi disposta dall’ex procuratore capo del tribunale di Vasto, Francesco Prete, il 10 luglio 2010. La lussuosa dimora venne sequestrata a una coppia rom, Carmine Bevilacqua e Lucia Sauchella, perché ritenuta provento di attività illecite. «Quella villa, però, non è dei coniugi Bevilacqua. I nonni materni donarono l’immobile ai nipoti nove anni fa e l’atto non è stato revocato entro il termine di cinque anni», rimarca l’avvocato Giovanni Cerella, che rappresenta i ragazzi. «Secondo il diritto quel bene appartiene ai figli di Lucia Sauchella e va riconsegnato agli aventi diritto», insiste il legale. L’avvocato Cerella ha quindi impugnato la confisca e contestato quanto disposto dal Comitato consultivo provinciale per la destinazione dei beni provento di attività illegali e donato la villa al Comune.
Ennesimo colpo di scena, dunque, nella travagliata vicenda giudiziaria. I figli dei due rom diventati maggiorenni nel 2013, secondo l’avvocato Cerella, sono gli effettivi proprietari della dimora e reclamano dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la riconsegna dell’immobile. Nella lunga e analitica motivazione del ricorso presentato dall’avvocato Cerella, c’è l’erronea applicazione della legge. «La villa fu costruita su un terreno che apparteneva ai nonni dei ragazzi. L’acquisto fatto dai nonni risale al 2002, la donazione al 2005. L’episodio che ha portato in carcere i genitori è datato 2010. Oltretutto la mamma fu assolta. Il possesso della villa non può in alcun modo essere collegato alla presunta attività di spaccio del padre», afferma l’avvocato Cerella, dichiarando inopportuni sia la donazione al Comune e sia l'annuncio fatto dall’ente di voler trasformare la villa in una Casa famiglia.
La disposizione della Procura si fondava sul presupposto che i padroni di casa avessero investito proventi illeciti nell’acquisto dell’immobile e non fossero in grado di dimostrare la provenienza lecita del denaro investito. Non è stata l’unica misura patrimoniale antimafia decisa in Abruzzo dalla magistratura. La Procura di Vasto ha cominciato ad eseguire misure analoghe 4 anni fa a carico di persone che ufficialmente non hanno alcun lavoro nè reddito, ma conducono una vita da nababbi. «Non è il caso in questione. I ragazzi non hanno investito soldi illeciti. Hanno ricevuto un dono dal nonno e lo rivogliono», insiste Cerella.
Paola Calvano
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