Imprenditore vittima di usura si uccide Cinque bancari indagati in Abruzzo
Nei guai impiegati, direttore di una banca e mediatori di Chieti e Pescara, perquisizioni anche a Roma. La vittima finì in rovina e si tolse la vita
CHIETI. Concedevano mutui a tassi esorbitanti, finanziamenti che poi rinegoziavano con interessi sempre più alti perché il cliente, alla fine ridotto alla rovina, non era in grado di onorarne la restituzione.
Uno di questi, residente in un piccolo paese vicino a Chieti qualche anno fa si suicidò, travolto dai debiti. Per questa storia, denunciata dagli eredi, moglie e figli, sono indagate per usura 5 persone: dipendenti di una banca abruzzese, tra cui un direttore, e mediatori finanziari. Sono tutti residenti a Chieti e Pescara. Ieri mattina hanno ricevuto la visita degli uomini della Mobile di Chieti, insieme ai colleghi di Pescara e di Roma.
Queste città sono interessate alla vicenda perché nell’ultima c’è la sede centrale della banca, mentre nella città adriatica una delle tante filiali dell’istituto di credito, luogo di lavoro degli impiegati indagati e banca che ha erogato mutui e finanzimenti.
La perquisizione è servita a raccogliere una serie di prove documentali che comproverebbero quanto già raccolto in circa un anno di indagini dalla questura teatina e a individuare eventuali altri vittime dello strozzinaggio.
L’inchiesta, iniziata dopo l’esposto gli eredi dell’imprenditore, è stata coordinata dal vicequestore Francesco Costantini e diretta dal sostituto procuratore Andrea Dell’Orso.
Per alcuni degli indagati era stato richiesto l’arresto, misura cautelare che però non è stata concessa dal giudice delle indagini preliminari del tribunale.
Secondo quanto accertato dai poliziotti della squadra mobile, III sezione, il sodalizio, ben orchestrato da uno degli indagati, sceglieva gli imprenditori che navigavano in cattive acque, senza liquidità, protestati o in condizioni tali da non poter chiedere i prestiti attraverso gli ufficiali canali creditizi perché non avevano beni per garantirli. I mutui venivano erogati da alcune banche con la compiacenza di impiegati e del direttore.
Nel caso specifico, il prestito all’imprenditore agricolo già in difficoltà, e come detto fuori dal circuito ufficiale bancario, venne spacciato come un’opera di beneficienza, una boccata di ossigeno per la ripresa della attività, che effettivamente per qualche mese ancora riuscì ad andare avanti. Ma dietro, dicono gli investigatori, si nascondeva la gogna dell’usura come ben presto i fatti che seguirono dimostrano.
Infatti una volta che la vittima non fosse stata più in grado di restituire le rate del prestito, il mutuo veniva rinegoziato con tassi sempre più alti e con il coinvolgimento di altri soggetti in genere parenti che garantivano con il loro patrimonio e a loro volta diventavano altre vittime. I mediatori che curavano le varie rinegoziazioni a loro volta si facevano consegnare contestualmente o immediatamente dopo il deposito della somma finanziata, il 10 per cento del denaro ottenuto. Anche l’interessamento aveva un costo.
L’imprenditore teatino alla fine non riuscì più a stare dietro alle continue richieste di restituzione del prestito con una attività che non dava più segni di ripresa. Coperto dai debiti si uccise.Gli investigatori sostengono che l’usura è in aumento anche a causa della congiuntura. L’unica arma è quella di denunciare gli strozzini che spesso si nascondono tra professionisti inseriti nel circuito bancaraio o finanziario in genere e tra i conoscenti delle vittime.
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