La Fondazione: addio al palazzo I risparmiatori: sarà class action

La liquidazione della vecchia banca costa cara: palazzo de’ Mayo andrà (almeno in parte) sul mercato Il caso di un correntista convinto da un dipendente a investire 30mila euro in obbligazioni subordinate

CHIETI. Il prezzo da pagare è alto. Chieti dice addio a due milioni e mezzo l'anno per la cultura. E 507 risparmiatori perdono 25 milioni di euro investiti in obbligazioni subordinate. Il salvataggio di Carichieti costa caro alla Fondazione della banca che si vede azzerare le azioni, quell'80 per cento del pacchetto che fino a domenica mattina valeva 77 milioni e oggi vale meno di un caffè. E a un esercito di piccoli risparmiatori, teatini e del ceto medio, ex dipendenti anche di fabbriche della Val Pescara, come lo è il signor Mario (nome di fantasia) che alla fine del 2011 decide di investire una parte della sua liquidazione fidandosi di un amico che lavora in banca.

I VERI BEFFATI. Il giorno dopo la notizia del salvataggio parlano i beffati. Pasquale Di Frischia, presidente della Fondazione Carichieti che, alle 13,30, esce da palazzo de' Majo con il volto triste e rassegnato. Ma non ci sta a rimanere con il cerino in mano, lui che ha l'unica colpa di aver ereditato la Fondazione dai predecessori, Francesco Sanvitale (scomparso da poco) e soprattutto Mario Di Nisio, quando ormai la debacle di Carichieti, bersagliata da quattro ispezioni di Bankitalia, era stata già disegnata. «E' stata una fine ineluttabile», dice Di Frischia, «me l'aspettavo anche se abbiamo fatto di tutto per evitarla».

Mario invece lavorava alla Telettra. E' uno dei 507 risparmiatori che la banca, in queste ore, sta chiamando a rapporto per avvisarli che le loro obbligazioni subordinate (da non confondere con i bond ordinari che sono in salvo), rientrano in quella fetta di capitale a rischio azzerato insieme alla vecchia banca, sostituita dalla nuova Carichieti con sede romana, e alle azioni della Fondazione.

UNA CLASS ACTION? Il signor Mario non ci sta. Pensa già ad una class action. Vorrebbe chiamare a raccolta tutti gli altri, come lui rimasti beffati. Le sue obbligazioni subordinate si riferiscono alla prima delle due emissioni, quella che gli avrebbero garantito interessi del 5% per un periodo compreso dal 2012 al 2019. Vincolati per sette anni, ma non era una speculazione. «Mio padre si fece convincere da un amico che lavora in banca», spiega la figlia al Centro. Ma era al corrente del rischio che accompagna le subordinate legate alla sorte della banca, cioè perse in caso di liquidazione dell'istituto? «Sì, conosceva il rischio ma tutti gli avevano detto che Carichieti era una banca solida. E poi anche il dipendente che lo aveva convinto ad investire 30mila euro a sua volta aveva acquistato obbligazioni subordinate che ora ha perso come le ha perse mio padre». Mario è già stato in banca a chiedere spiegazioni. E' e sarà un via vai di risparmiatori in Carichieti che vogliono sapere se hanno perso i propri tesoretti, in media 50 mila euro a testa. Un via vai che si sta consumando in e fuori la banca, come ieri quando nel bar Vittoria il signor Roberto, altro cliente sulle spine, ha chiesto all'impiegata amica e incontrata per caso se anche lui aveva perso tutto. «No, no, le tue sono obbligazioni ordinarie. Non le hai perse», ha risposto lei suscitando la reazione di gioia del risparmiatore. C'è mancato poco che Roberto offrisse da bere a tutti. Ma torniamo alla cultura, al presidente Di Frischia e alle occasioni perse da Chieti.

VENDERE PALAZZO DE' MAYO. «Nei momenti d'oro erogavamo migliaia di euro al Marrucino, al Tosti di Ortona e al Fenaroli di Lanciano. La Fondazione finanziava la Settimana Mozartiana e la Mostra dell'artigianato di Guadiagrele. Ma è tutto finito», dice Di Frischia che alza lo sguardo verso palazzo de' Majo, costato caro alla Fondazione quando chi lo ha preceduto, in particolare l'architetto Di Nisio, decise di ristrutturarlo indebitando la stessa Fondazione con Carichieti che concesse un prestito di oltre 5 milioni di euro da ripagare con i dividendi. Una sorta di intreccio tra controllata e controllore finito nel mirino di Bankitalia. Ma Di Frischia non c'entra, anche se il cerino gli è rimasto in mano. E, ironia della sorte, l'unico capitale immobiliare che dà a lui e al Cda della Fondazione l'ultimo e unico filo di speranza è proprio questo palazzo costato come l'oro. «Dobbiamo venderlo», dice Di Frischia. Sì, ma a chi? Il presidente vuole incontrare le altre Fondazioni: le abruzzesi per chiedere aiuto, e quelle delle tre banche salvate insieme a Carichieti. Quindi riunirà il Cda e il comitato d'indirizzo. Ma il tempo è poco. «In cassa abbiamo i soldi che ci garantiscono pochi mesi di autonomia. Se non si troverà una soluzione saremo costretti a portare gli atti al Mef (Ministero dell'economia e finanza) per liquidare la Fondazione. Ma io non mi arrendo».