La Procura chiede l’ergastolo per Marfisi
L’accusa: piano premeditato per uccidere moglie e amica, non è stato un raptus. La rabbia dei parenti: vogliamo giustizia
CHIETI. Il destino di Francesco Marfisi si saprà solo il prossimo 27 giugno, quando il giudice Isabella Maria Allieri ha fissato l’udienza finale del processo a suo carico. Marfisi, 51 anni di Ortona, è accusato del duplice omicidio della moglie Letizia Primiterra e dell’amica di lei, Laura Pezzella. Era il 13 aprile dell’anno scorso quando Marfisi è andato a casa della Pezzella, nel quartiere San Giuseppe, dove ha ucciso con una ventina di coltellate la moglie Letizia e con un’altra cinquantina l’amica di lei Laura, ritenendo che fra le due ci fosse una relazione amorosa.
Ieri si è svolto il penultimo atto del processo. Il pm Giancarlo Ciani ha chiesto l’ergastolo, chiedendo anche che vengano riconosciute tutte le aggravanti. Gli avvocati di parte civile Luca Tirabassi, Ilario Cocciola e Luigi Leo, si sono accodati alla richiesta del pm, presentando una domanda di risarcimento danni di oltre 3 milioni. La difesa, invece, affidata a Rocco Giancristofaro, ha chiesto che non venissero riconosciute due delle tre aggravanti ipotizzate. A giudizio dell’avvocato Giancristofaro non c’è stata premeditazione, «perché l’azione del mio cliente risulta confusa, senza indizi di una preorganizzazione sia a livello ideale che temporale» e non c’è stata crudeltà, «perché tutti i colpi inferti erano mortali, dunque non c’era volontà di far soffrire le vittime». La difesa contesta anche gli altri capi di imputazione: «Le lesioni nei confronti della figlia non sono volontarie», spiega Giancristofaro, «e dall’accusa di tentato omicidio nei confronti dell’amica che ospitava la moglie non sono emersi atti diretti in modo non equivoco a commettere omicidio. E dunque ritengo che questi due reati debbano cadere». Senza premeditazione, il duplice femminicidio per la difesa è stato dettato solo da un «raptus di gelosia», dice Giancristofaro al termine della sua ora e mezza di arringa. «Hanno descritto Francesco come un animale. Ma lui era solo un uomo follemente innamorato della moglie», conclude il difensore. L’imputato non ha ascoltato l’arringa. Dopo circa mezzora di processo si è sentito male ed è stato riportato in cella. Ha detto di accusare conati di vomito e forte ansia. Esce in lacrime, invece, la mamma di Laura, Silvana Barbieri. Non riesce ad ascoltare il resoconto con le parole della nipote di 7 anni che ha visto uccidere la mamma. «Spero che gli diano l’ergastolo», dice, «se gli danno 30 anni, fra 20 sarà fuori e potrà incontrare i miei nipoti davanti a cui ha ucciso la mamma».
Ieri si è svolto il penultimo atto del processo. Il pm Giancarlo Ciani ha chiesto l’ergastolo, chiedendo anche che vengano riconosciute tutte le aggravanti. Gli avvocati di parte civile Luca Tirabassi, Ilario Cocciola e Luigi Leo, si sono accodati alla richiesta del pm, presentando una domanda di risarcimento danni di oltre 3 milioni. La difesa, invece, affidata a Rocco Giancristofaro, ha chiesto che non venissero riconosciute due delle tre aggravanti ipotizzate. A giudizio dell’avvocato Giancristofaro non c’è stata premeditazione, «perché l’azione del mio cliente risulta confusa, senza indizi di una preorganizzazione sia a livello ideale che temporale» e non c’è stata crudeltà, «perché tutti i colpi inferti erano mortali, dunque non c’era volontà di far soffrire le vittime». La difesa contesta anche gli altri capi di imputazione: «Le lesioni nei confronti della figlia non sono volontarie», spiega Giancristofaro, «e dall’accusa di tentato omicidio nei confronti dell’amica che ospitava la moglie non sono emersi atti diretti in modo non equivoco a commettere omicidio. E dunque ritengo che questi due reati debbano cadere». Senza premeditazione, il duplice femminicidio per la difesa è stato dettato solo da un «raptus di gelosia», dice Giancristofaro al termine della sua ora e mezza di arringa. «Hanno descritto Francesco come un animale. Ma lui era solo un uomo follemente innamorato della moglie», conclude il difensore. L’imputato non ha ascoltato l’arringa. Dopo circa mezzora di processo si è sentito male ed è stato riportato in cella. Ha detto di accusare conati di vomito e forte ansia. Esce in lacrime, invece, la mamma di Laura, Silvana Barbieri. Non riesce ad ascoltare il resoconto con le parole della nipote di 7 anni che ha visto uccidere la mamma. «Spero che gli diano l’ergastolo», dice, «se gli danno 30 anni, fra 20 sarà fuori e potrà incontrare i miei nipoti davanti a cui ha ucciso la mamma».