La Sixty lo licenzia, il giudice lo reintegra
Sentenza d'appello, il tribunale ordina la riassunzione del dipendente
CHIETI. Assunzione con patto di prova "nullo", un lavoratore reintegrato alla Sixty. L'azienda di moda aveva licenziato A.C., 44enne di Chieti, alla fine del 2005 e la sezione lavoro della Corte d'appello dell'Aquila nell'udienza del 7 luglio scorso, presieduta da Rita Sannite, affiancata da Maria Luisa Ciangola e Alberto Celeste, ha giudicato "illegittimo il licenziamento".
I giudici aquilani hanno disposto "l'immediata reintegrazione" del lavoratore, condannando l'azienda al pagamento di tutti gli stipendi non elargiti e delle spese di giudizio sia di primo che di secondo grado. Somma liquidata, stando al dispositivo della sentenza, della quale non ancora si conoscono le motivazioni, in 7500 euro più tutti gli stipendi non pagati dal licenziamento e nei mesi successivi, oltre 66 ad oggi, compresa «la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, con conseguente regolarizzazione contributiva». «Stiamo calcolando in questi giorni l'ammontare esatto del dovuto», dice l'avvocato del lavoratore, Enrico Raimondi, «all'epoca del licenziamento il suo stipendio era di 1450 euro circa al mese».
Tutto inizia nel 1994, quando l'uomo viene assunto dalla Sixty srl come addetto al centro Cad. «E' il settore dove vengono in buona sostanza create le basi degli abiti prodotti dall'azienda per il taglio», afferma Raimondi, «due anni dopo Sixty decide di affidare l'intero reparto in appalto alla Fashion sas. Questa società tra i dipendenti assume anche chi aveva lavorato in Sixty proprio a quel servizio, compreso il lavoratore che ho difeso». L'avvocato sottolinea come le attività vengono comunque svolte da Fashion nei locali della Sixty in via Piaggio, utilizzando macchinari forniti dalla stessa società committente. Il 15 giugno del 2005, però, la ditta appaltatrice comunica ai propri dipendenti che la Sixty, nel frattempo divenuta spa, è intenzionata a risolvere il contratto di appalto e a riportare il lavoro al proprio interno.
«Il mio assistito», prosegue Raimondi, «è stato così reinserito in azienda a settembre con un patto di prova, della durata di sei mesi e licenziato il 15 dicembre dello stesso anno per mancato superamento del periodo. Un licenziamento che ha poi impugnato, sostenendo la nullità dell'assunzione in prova e la conseguente illegittimità del licenziamento, perché sostanzialmente aveva già lavorato da tempo per Sixty, e quindi era ben conosciuto dall'azienda. Ha sostenuto da subito che in caso di assunzione di dipendenti dell'appaltatore il patto di prova è privo di causa e che le mansioni oggetto della prova stessa erano state descritte in modo generico».
La sentenza d'appello ribalta quella di primo grado, dell'ottobre 2010, emessa dal dal giudice unico del lavoro di Chieti, che aveva rigettato il ricorso del lavoratore.
I giudici aquilani hanno disposto "l'immediata reintegrazione" del lavoratore, condannando l'azienda al pagamento di tutti gli stipendi non elargiti e delle spese di giudizio sia di primo che di secondo grado. Somma liquidata, stando al dispositivo della sentenza, della quale non ancora si conoscono le motivazioni, in 7500 euro più tutti gli stipendi non pagati dal licenziamento e nei mesi successivi, oltre 66 ad oggi, compresa «la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, con conseguente regolarizzazione contributiva». «Stiamo calcolando in questi giorni l'ammontare esatto del dovuto», dice l'avvocato del lavoratore, Enrico Raimondi, «all'epoca del licenziamento il suo stipendio era di 1450 euro circa al mese».
Tutto inizia nel 1994, quando l'uomo viene assunto dalla Sixty srl come addetto al centro Cad. «E' il settore dove vengono in buona sostanza create le basi degli abiti prodotti dall'azienda per il taglio», afferma Raimondi, «due anni dopo Sixty decide di affidare l'intero reparto in appalto alla Fashion sas. Questa società tra i dipendenti assume anche chi aveva lavorato in Sixty proprio a quel servizio, compreso il lavoratore che ho difeso». L'avvocato sottolinea come le attività vengono comunque svolte da Fashion nei locali della Sixty in via Piaggio, utilizzando macchinari forniti dalla stessa società committente. Il 15 giugno del 2005, però, la ditta appaltatrice comunica ai propri dipendenti che la Sixty, nel frattempo divenuta spa, è intenzionata a risolvere il contratto di appalto e a riportare il lavoro al proprio interno.
«Il mio assistito», prosegue Raimondi, «è stato così reinserito in azienda a settembre con un patto di prova, della durata di sei mesi e licenziato il 15 dicembre dello stesso anno per mancato superamento del periodo. Un licenziamento che ha poi impugnato, sostenendo la nullità dell'assunzione in prova e la conseguente illegittimità del licenziamento, perché sostanzialmente aveva già lavorato da tempo per Sixty, e quindi era ben conosciuto dall'azienda. Ha sostenuto da subito che in caso di assunzione di dipendenti dell'appaltatore il patto di prova è privo di causa e che le mansioni oggetto della prova stessa erano state descritte in modo generico».
La sentenza d'appello ribalta quella di primo grado, dell'ottobre 2010, emessa dal dal giudice unico del lavoro di Chieti, che aveva rigettato il ricorso del lavoratore.
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