Morìa di gamberi di fiume nell’oasi del torrente Verde
Borrello, strage di femmine e novellame: la causa forse è dovuta a un fungo. L’esperto Pagliani: "Danno rilevante"
BORRELLO. Morìa di gamberi di fiume nell’incubatoio delle Cascate del Verde e nell’omonimo torrente: alcuni animali morti sono stati inviati all’Istituto zooprofilattico di Teramo che, in mattinata, dovrebbe emettere la diagnosi. I danni sono ingenti. Il sospetto è che si tratti della peste del gambero, l’afanomicosi (malattia provocata da un fungo) che colpisce la “corazza” dei gamberi nostrani perforandola e uccidendo l’animale nel giro di poco tempo. Le cause della diffusione del fungo possono essere molteplici ed è difficile prevenirne gli effetti. La patologia non è pericolosa per l’uomo.
Dell’argomento se ne parlerà oggi, nella Riserva delle Cascate, durante il forum “Gestione ittica e tutela della biodiversità fluviale”. I lavori sono coordinati da Tommaso Pagliani, Centro di scienze ambientali Consorzio Negri Sud e project manager Crainat.
I primi casi si sono verificati il 10 luglio quando, operatori dell’incubatoio, hanno trovato nel torrente Verde alcuni gamberi adulti morti. Il rientro nella struttura è stato devastante: tutte le femmine e il novellame (gamberetti attaccati all’addome delle madri) erano morti. È così scattato l’allarme. L’incubatoio della Riserva fa parte del progetto “Crainat-Conservation and recovery of Austropotamobius pallipes in Italian Natura2000 sites”, finanziato nel programma comunitario Life+2008.
Il gambero di fiume è una specie a elevata priorità di conservazione sia per il bracconaggio sia per l’inquinamento dei corsi d’acqua. L’iniziativa ha come obiettivo la conservazione-incremento delle popolazioni di gambero autoctono. Diverse le fasi del progetto: accertare la reale popolazione dei gamberi, far nascere negli incubatoi nuovi gamberi e quindi, liberazione del novellame. L’accoppiamento degli adulti avviene tra ottobre e novembre; le uova schiudono a giugno e ai primi di novembre c’è la reintroduzione nel territorio. La morìa ha quindi causato un grave danno perché si sono persi l’intero patrimonio dei riproduttori e la progenie.
«È un danno rilevante», afferma Pagliani, «ma non coinciderà certo con la chiusura delle strutture, appena possibile ricominceremo con le nostre attività».
Matteo Del Nobile
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