Omicidio Cava, gli imputati si contraddicono
Versioni discordanti nell'interrogatorio del pm al processo in Corte d'assise
LANCIANO. Frasi dette o non dette, dichiarazioni rese negli interrogatori e non confermate in aula, forse l'alibi che spunta per uno degli imputati. E' l'esito dell'esame, svolto ieri in Corte d'assise a Lanciano, di Alberto Zimarino, 35 anni, e Marco Fabrizio, 43 anni, di San Salvo, accusati dell'omicidio di Cosimo Cava, il buttafuori di 40 anni, ucciso a Piana Sant'Angelo di San Salvo la sera del 27 gennaio 2007. Alla fine di una conviviale nel casolare di Zimarino per festeggiare l'uccisione del maiale, Cava sarebbe stato preso a calci sul volto, in seguito ad un alterco con alcuni dei partecipanti alla cena, ed è morto.
Ieri mattina, davanti alla giuria popolare presieduta dal giudice Giancarlo De Filippis, i due imputati sono stati interrogati, prima dal pm Francesco Prete che ha parlato «di versioni discordati tra Zimarino e Fabrizio». Zimarino, commerciante e proprietario del casolare di fronte al quale morì Cava, rappresentato dagli avvocati Giovanni e Antonino Cerella, ha sostenuto davanti alla corte di avere un alibi: alle 20,30, ora del delitto, si sarebbe assentato per andare a prendere una porchetta a casa di un amico, a dieci minuti dalla masseria dove si svolgeva la cena. Di ritorno, sarebbe stato fra i primi a soccorrere Cava sanguinante in volto, e ancora vivo.
Il biologo, incaricato dal tribunale, ha riscontrato la presenza di sangue sulla tomaia delle scarpe di Zimarino. Fabrizio, difeso dagli avvocati Nicola Artese e Manuela De Nicolis, ha sostenuto, invece, che Zimarino era presente all'ora del delitto. L'artigiano di San Salvo ha ammesso di aver avuto un diverbio tra spinte e parolacce con Cava, conosciuto quella stessa sera, ma di essere andato subito via con la propria auto, mentre i restanti erano attorno al buttafuori che da terra si dimenava e scalciava. A Fabrizio è stato contestato anche il contenuto di una telefonata con Zimarino, dopo che forze dell'ordine e ambulanza erano arrivati sul posto: diverse le versioni fornite dall'imputato in sede di interrogatorio e in tribunale. Tanti e discordanti sono gli elementi in mano alla Corte, che tornerà a riunirsi il 15 novembre per la discussione.
Ieri mattina, davanti alla giuria popolare presieduta dal giudice Giancarlo De Filippis, i due imputati sono stati interrogati, prima dal pm Francesco Prete che ha parlato «di versioni discordati tra Zimarino e Fabrizio». Zimarino, commerciante e proprietario del casolare di fronte al quale morì Cava, rappresentato dagli avvocati Giovanni e Antonino Cerella, ha sostenuto davanti alla corte di avere un alibi: alle 20,30, ora del delitto, si sarebbe assentato per andare a prendere una porchetta a casa di un amico, a dieci minuti dalla masseria dove si svolgeva la cena. Di ritorno, sarebbe stato fra i primi a soccorrere Cava sanguinante in volto, e ancora vivo.
Il biologo, incaricato dal tribunale, ha riscontrato la presenza di sangue sulla tomaia delle scarpe di Zimarino. Fabrizio, difeso dagli avvocati Nicola Artese e Manuela De Nicolis, ha sostenuto, invece, che Zimarino era presente all'ora del delitto. L'artigiano di San Salvo ha ammesso di aver avuto un diverbio tra spinte e parolacce con Cava, conosciuto quella stessa sera, ma di essere andato subito via con la propria auto, mentre i restanti erano attorno al buttafuori che da terra si dimenava e scalciava. A Fabrizio è stato contestato anche il contenuto di una telefonata con Zimarino, dopo che forze dell'ordine e ambulanza erano arrivati sul posto: diverse le versioni fornite dall'imputato in sede di interrogatorio e in tribunale. Tanti e discordanti sono gli elementi in mano alla Corte, che tornerà a riunirsi il 15 novembre per la discussione.
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