Pozzi inquinati, due anni di sprechi e ritardi
La Regione autorizzò nel 2005 gli scavi a Bussi. Ma Ato e Aca la ignorarono
PESCARA. Due anni persi; una delibera inspiegabilmente ignorata; un milione e 300mila euro spesi per installare filtri che, ormai saturi, non depurano più l’acqua (vedi la tabella) e la rabbia di migliaia di cittadini, di baristi obbligati a chiudere i locali, di titolari di hotel costretti e chiedere scusa ai turisti. Ma dietro l’emergenza idrica, giunta al 12º giorno, si nasconde un singolare piano a cui Ato e Aca debbono dare una spiegazione. Era l’11 novembre 2005 quando la giunta regionale serve su un piatto d’argento ai 2 enti gestori la soluzione dell’emergenza pozzi Sant’Angelo inquinati.
Una delibera regionale, in pieno inverno di due anni fa, di fatto ordinava all’Ato e all’Aca di chiudere i pozzi di Castiglione a Casauria perché già allora risultavano inquinati e di attingere acqua in due nuovi pozzi nel territorio di Bussi. Praticamente la soluzione adottata oggi - due anni dopo - dal commissario di bacino, Adriano Goio. Cosa fecero invece i due enti deputati a gestire le risorse e le reti idriche? I pozzi vennero chiusi per un breve periodo e subito riaperti. Il motivo? C’era un sindaco, quello di Bussi, che si opponeva alla realizzazione di due pozzi nel proprio territorio. Sarebbe però bastato un semplice ricorso al Tar per sbloccare questa situazione: nessun giudice avrebbe dato ragione a un sindaco penalizzando oltre 400mila utenti. Ato a Aca, quindi, hanno scelto la soluzione dei filtri: un’operazione che, stando a fonti investigative, sarebbe finora costata alla Regione qualcosa come un milione e 300mila euro.
A distanza di due anni da quella delibera, in piena emergenza con migliaia di famiglie rimaste con i rubinetti a secco (ieri però è tornata l’acqua ai grandi alberghi di Montesilvano) e con gravi problemi anche igienici, il commissario Goio ha attuato il progetto di chiusura dei pozzi inquinati e la loro delocalizzazione a Bussi. Ma Ato e Aca, questa volta, rispondono con un ricorso al Tar contro l’ordinanza di un autorevole rappresentante del governo. Nessuno può gridare allo scandalo, ma lasciateci fare una constatazione dei fatti: i due enti, cioè il partito dell’acqua, hanno preferito perdere due anni e spendere fior di soldi pubblici in filtri che si sono dimostrati un fallimento, lasciando che l’emergenza idrica eplodesse sulla pelle dei cittadini.
Allora la domanda è una sola: chi ha tratto vantaggi da questa situazione? Il Centro è in grado di pubblicare la delibera che venne ignorata dall’Ato e dall’Aca; ha poi ascoltato le spiegazione della ditta che ha installato i filtri; ha sentito il prefetto di Pescara e la replica del commissario Goio.
LA DELIBERA IGNORATA. Esiste e risale all’11 novembre del 2005. Fu approvata dalla giunta regionale. Il documento dichiara «lo stato di emergenza idrica» in tutta la Valpescara, a seguito «dell’inquinamento delle acque emunte dall’Ato 4 pescarese dal Campo pozzi Sant’Angelo». E autorizza l’Ato a «realizzare due pozzi in località San Rocco del Comune di Bussi». Ma fu ignorato.
«I FILTRI SONO SATURI». Ma perché le analisi dell’Arta sui pozzi chiusi hanno fatto registrare valori di inquinanti pericolosi per la salute umana, come tetracloruro di carbonio e dicloroetilene, più alti dopo il filtraggio? La spiegazione viene dalla Pcm (Progettazione, costruzione, montaggio), la società che ha ricevuto incarico nel 2006 dall’Aca di installare i filtri ai pozzi inquinati di Campo Sant’Angelo, allora appena riaperti. Ha la sua sede principale a Campobasso e una filiale anche a Milano. «Probabilmente i pozzi hanno i filtri saturi che non filtrano più e rilasciano nell’acqua le sostanze accumulate» dice il titolare, Rosario Di Paolo, al telefono «i tecnici dell’Aca, che effettuano controlli periodici, avrebbero dovuto accorgersi di questa situazione». Il responsabile della società afferma di aver installato il primo gruppo di filtri, dal costo di 180mila euro, nel luglio dell’anno scorso. Il secondo, è stato invece montato nel gennaio di quest’anno e il terzo, quello applicato al pozzo 3, che presenta però valori più bassi dopo il filtraggio, risale a un mese fa.
LA LETTERA DEL PREFETTO. Ieri il prefetto, Giuliano Lalli, ha preso carta e penna e ha scritto una lettera a Goio. «In relazione» si legge «alle richieste trasmesse l’11 agosto alla Signoria vostra da parte dei presidenti di Ato e Aca di revoca dell’ordinanza (di chiusura dei pozzi di Castiglione, ndr), alla luce del parere richiesto ed espresso dall’Istituto superiore di sanità, si prega di tenere informato lo scrivente, con ogni consentita urgenza, sugli eventuali provvedimenti anche di natura limitativa che si intendono adottare per superare l’attuale crisi idrica».
LA RISPOSTA DI GOIO. «Non mi hanno fatto ancora avere il parere dell’Istituto superiore di sanità» fa presente il commissario da Trento nella lettera di risposta al prefetto «ho chiesto all’assessorato regionale alla sanità di dare un’interpretazione a quel documento. Se mi dicono di riaprire i pozzi, io li riapro».
ACCUSE DEI COMITATI. Il comitato di associazioni ambientaliste «Bussi ci riguarda» chiede le dimissioni dei vertici di Ato e Aca. «Non è pensabile che, dopo quanto è accaduto, D’Ambrosio e Catena, rimangano al loro posto», avverte Edvige Ricci. Il comitato annuncia poi un esposto per sollecitare la procura ad indagare su eventuali illeciti e inadempienze.
Una delibera regionale, in pieno inverno di due anni fa, di fatto ordinava all’Ato e all’Aca di chiudere i pozzi di Castiglione a Casauria perché già allora risultavano inquinati e di attingere acqua in due nuovi pozzi nel territorio di Bussi. Praticamente la soluzione adottata oggi - due anni dopo - dal commissario di bacino, Adriano Goio. Cosa fecero invece i due enti deputati a gestire le risorse e le reti idriche? I pozzi vennero chiusi per un breve periodo e subito riaperti. Il motivo? C’era un sindaco, quello di Bussi, che si opponeva alla realizzazione di due pozzi nel proprio territorio. Sarebbe però bastato un semplice ricorso al Tar per sbloccare questa situazione: nessun giudice avrebbe dato ragione a un sindaco penalizzando oltre 400mila utenti. Ato a Aca, quindi, hanno scelto la soluzione dei filtri: un’operazione che, stando a fonti investigative, sarebbe finora costata alla Regione qualcosa come un milione e 300mila euro.
A distanza di due anni da quella delibera, in piena emergenza con migliaia di famiglie rimaste con i rubinetti a secco (ieri però è tornata l’acqua ai grandi alberghi di Montesilvano) e con gravi problemi anche igienici, il commissario Goio ha attuato il progetto di chiusura dei pozzi inquinati e la loro delocalizzazione a Bussi. Ma Ato e Aca, questa volta, rispondono con un ricorso al Tar contro l’ordinanza di un autorevole rappresentante del governo. Nessuno può gridare allo scandalo, ma lasciateci fare una constatazione dei fatti: i due enti, cioè il partito dell’acqua, hanno preferito perdere due anni e spendere fior di soldi pubblici in filtri che si sono dimostrati un fallimento, lasciando che l’emergenza idrica eplodesse sulla pelle dei cittadini.
Allora la domanda è una sola: chi ha tratto vantaggi da questa situazione? Il Centro è in grado di pubblicare la delibera che venne ignorata dall’Ato e dall’Aca; ha poi ascoltato le spiegazione della ditta che ha installato i filtri; ha sentito il prefetto di Pescara e la replica del commissario Goio.
LA DELIBERA IGNORATA. Esiste e risale all’11 novembre del 2005. Fu approvata dalla giunta regionale. Il documento dichiara «lo stato di emergenza idrica» in tutta la Valpescara, a seguito «dell’inquinamento delle acque emunte dall’Ato 4 pescarese dal Campo pozzi Sant’Angelo». E autorizza l’Ato a «realizzare due pozzi in località San Rocco del Comune di Bussi». Ma fu ignorato.
«I FILTRI SONO SATURI». Ma perché le analisi dell’Arta sui pozzi chiusi hanno fatto registrare valori di inquinanti pericolosi per la salute umana, come tetracloruro di carbonio e dicloroetilene, più alti dopo il filtraggio? La spiegazione viene dalla Pcm (Progettazione, costruzione, montaggio), la società che ha ricevuto incarico nel 2006 dall’Aca di installare i filtri ai pozzi inquinati di Campo Sant’Angelo, allora appena riaperti. Ha la sua sede principale a Campobasso e una filiale anche a Milano. «Probabilmente i pozzi hanno i filtri saturi che non filtrano più e rilasciano nell’acqua le sostanze accumulate» dice il titolare, Rosario Di Paolo, al telefono «i tecnici dell’Aca, che effettuano controlli periodici, avrebbero dovuto accorgersi di questa situazione». Il responsabile della società afferma di aver installato il primo gruppo di filtri, dal costo di 180mila euro, nel luglio dell’anno scorso. Il secondo, è stato invece montato nel gennaio di quest’anno e il terzo, quello applicato al pozzo 3, che presenta però valori più bassi dopo il filtraggio, risale a un mese fa.
LA LETTERA DEL PREFETTO. Ieri il prefetto, Giuliano Lalli, ha preso carta e penna e ha scritto una lettera a Goio. «In relazione» si legge «alle richieste trasmesse l’11 agosto alla Signoria vostra da parte dei presidenti di Ato e Aca di revoca dell’ordinanza (di chiusura dei pozzi di Castiglione, ndr), alla luce del parere richiesto ed espresso dall’Istituto superiore di sanità, si prega di tenere informato lo scrivente, con ogni consentita urgenza, sugli eventuali provvedimenti anche di natura limitativa che si intendono adottare per superare l’attuale crisi idrica».
LA RISPOSTA DI GOIO. «Non mi hanno fatto ancora avere il parere dell’Istituto superiore di sanità» fa presente il commissario da Trento nella lettera di risposta al prefetto «ho chiesto all’assessorato regionale alla sanità di dare un’interpretazione a quel documento. Se mi dicono di riaprire i pozzi, io li riapro».
ACCUSE DEI COMITATI. Il comitato di associazioni ambientaliste «Bussi ci riguarda» chiede le dimissioni dei vertici di Ato e Aca. «Non è pensabile che, dopo quanto è accaduto, D’Ambrosio e Catena, rimangano al loro posto», avverte Edvige Ricci. Il comitato annuncia poi un esposto per sollecitare la procura ad indagare su eventuali illeciti e inadempienze.