Raffica di furti ai bancomat con chiavi e codici: 4 arresti
I colpi anche sul Corso, alla Trinità e allo Scalo. Nella banda un insospettabile
CHIETI. Hanno avuto la «spavalderia», per dirla con le parole del questore Annino Gargano, di svuotare anche le casseforti dei bancomat di corso Marrucino e piazza della Trinità, nel cuore del centro storico di Chieti. Ma tutti i componenti della banda capace di rubare oltre 600mila euro dagli sportelli automatici di mezzo Abruzzo, utilizzando chiavi e codici forniti da un «insospettabile», sono stati individuati e fermati dai poliziotti della squadra mobile di Chieti prima che potessero colpire ancora: all’alba di ieri, quattro persone sono state arrestate per sei furti pluriaggravati e tre tentati, compiuti dal 25 ottobre del 2019 al 18 giugno scorso, oltre che nel capoluogo teatino, anche a Pescara, Martinsicuro, Città Sant’Angelo e Fossacesia. L’ordinanza di custodia cautelare, su richiesta del procuratore Lucia Anna Campo, è stata firmata dal giudice Andrea Di Berardino: i pescaresi Osvaldo Mancini, 70 anni, e Paolo De Luca (51) e il romano Marco Adelli (62) sono stati rinchiusi nelle carceri di Isernia, Lanciano e Regina Coeli; ai domiciliari, invece, è finito Antonio Maravalle (60), anche lui residente a Pescara.
LA MENTE DELLA BANDA
Gli investigatori della sezione reati contro il patrimonio, coordinati dal vice questore aggiunto Miriam D’Anastasio, dal commissario Nicoletta Giuliante e dal sostituto commissario Gabriele Miccoli, hanno raccolto – come riassume il giudice – indizi «gravi, precisi e univoci» sugli indagati. Il quartetto è stato incastrato da immagini delle telecamere, ore di pedinamenti, intercettazioni e tabulati telefonici. Mancini, ritenuto un noto criminale, titolare di un negozio di ferramenta in via Puccini a Pescara, è «a tutti gli effetti il cervello dell’organizzazione»: è lui, raccontano le carte dell’inchiesta, al vertice di tutte le decisioni e a chiamare in Abruzzo Adelli, «instancabile specialista del bancomat» e unico autore materiale dei colpi. Non solo: Mancini ha «le competenze specifiche per duplicare anche chiavi non comuni, come quella necessaria per disattivare l’allarme».
LE CHIAVI E I CODICI
L’«insospettabile» è Maravalle, titolare di una ditta di San Giovanni Teatino specializzata in vendita e assistenza tecnica di casseforti, bancomat e combinatori elettronici: aveva contatti diretti solo con Mancini ed è stato «il fondamentale e decisivo fornitore dei codici, dei combinatori magnetici e delle chiavi di accesso, guarda caso proprio di banche del cui sistema di sicurezza lui si occupava (sintomo di eccezionale gravità)». E proprio grazie a queste informazioni Adelli ha potuto «agire indisturbato e rapidamente, di giorno e perfino confondendosi tra i clienti e apparendo quasi una sorta di anonimo operatore del sistema di sicurezza della banca, con il berretto e con una borsa a tracolla». Infine, c’è De Luca, braccio destro di Mancini e anche «insostituibile palo, più volte ripreso con gli stessi indumenti» vicino all’esecutore materiale dei furti «e intento a scrutare tutte le possibilità offerte dai bancomat delle zone d’Abruzzo, giacché Adelli abita fuori regione». Gli sportelli bancomat presi di mira non a caso sono del tipo non presidiato, vale a dire non ubicati all’interno di filiali bancarie, ma con la presenza di locali tecnici separati, tanto che a occuparsi del rifornimento del denaro sono gli istituti di portavalori e non i dipendenti delle banche stesse.
BANDA PERICOLOSA
«La pericolosità degli indagati è indiscutibilmente concreta e attuale», tira le somme il giudice Di Berardino. «Basti riflettere sulla costante periodicità con cui i quattro indagati hanno commesso i reati: si tratta di imprese criminose che richiedono lunghe gestazioni e che svelano una incredibile dimestichezza con i più sofisticati stratagemmi criminali, dalle manovre automobilistiche elusive dei pedinamenti ai telefoni schermati, sino allo sfruttamento di una persona operativa nel circuito bancario. Sono elementi che tratteggiano un rischio praticamente certo di reiterazione di reati della stessa specie, se non ancora più gravi, come nel caso di reazioni all’intervento delle forze dell’ordine».
LA MENTE DELLA BANDA
Gli investigatori della sezione reati contro il patrimonio, coordinati dal vice questore aggiunto Miriam D’Anastasio, dal commissario Nicoletta Giuliante e dal sostituto commissario Gabriele Miccoli, hanno raccolto – come riassume il giudice – indizi «gravi, precisi e univoci» sugli indagati. Il quartetto è stato incastrato da immagini delle telecamere, ore di pedinamenti, intercettazioni e tabulati telefonici. Mancini, ritenuto un noto criminale, titolare di un negozio di ferramenta in via Puccini a Pescara, è «a tutti gli effetti il cervello dell’organizzazione»: è lui, raccontano le carte dell’inchiesta, al vertice di tutte le decisioni e a chiamare in Abruzzo Adelli, «instancabile specialista del bancomat» e unico autore materiale dei colpi. Non solo: Mancini ha «le competenze specifiche per duplicare anche chiavi non comuni, come quella necessaria per disattivare l’allarme».
LE CHIAVI E I CODICI
L’«insospettabile» è Maravalle, titolare di una ditta di San Giovanni Teatino specializzata in vendita e assistenza tecnica di casseforti, bancomat e combinatori elettronici: aveva contatti diretti solo con Mancini ed è stato «il fondamentale e decisivo fornitore dei codici, dei combinatori magnetici e delle chiavi di accesso, guarda caso proprio di banche del cui sistema di sicurezza lui si occupava (sintomo di eccezionale gravità)». E proprio grazie a queste informazioni Adelli ha potuto «agire indisturbato e rapidamente, di giorno e perfino confondendosi tra i clienti e apparendo quasi una sorta di anonimo operatore del sistema di sicurezza della banca, con il berretto e con una borsa a tracolla». Infine, c’è De Luca, braccio destro di Mancini e anche «insostituibile palo, più volte ripreso con gli stessi indumenti» vicino all’esecutore materiale dei furti «e intento a scrutare tutte le possibilità offerte dai bancomat delle zone d’Abruzzo, giacché Adelli abita fuori regione». Gli sportelli bancomat presi di mira non a caso sono del tipo non presidiato, vale a dire non ubicati all’interno di filiali bancarie, ma con la presenza di locali tecnici separati, tanto che a occuparsi del rifornimento del denaro sono gli istituti di portavalori e non i dipendenti delle banche stesse.
BANDA PERICOLOSA
«La pericolosità degli indagati è indiscutibilmente concreta e attuale», tira le somme il giudice Di Berardino. «Basti riflettere sulla costante periodicità con cui i quattro indagati hanno commesso i reati: si tratta di imprese criminose che richiedono lunghe gestazioni e che svelano una incredibile dimestichezza con i più sofisticati stratagemmi criminali, dalle manovre automobilistiche elusive dei pedinamenti ai telefoni schermati, sino allo sfruttamento di una persona operativa nel circuito bancario. Sono elementi che tratteggiano un rischio praticamente certo di reiterazione di reati della stessa specie, se non ancora più gravi, come nel caso di reazioni all’intervento delle forze dell’ordine».