Rifiuti liquidi pericolosi sversati nel Pescara, sigilli al depuratore di Chieti e 4 arresti
L'accusa è aver inquinato il suolo nella zona di Salvaiezzi dello Scalo a ridosso del fiume Pescara. Ai domiciliari il presidente del consorzio Roberti
CHIETI. Accettavano rifiuti liquidi, anche da altre regioni, senza le necessarie analisi. Liquidi che finivano in vasche rotte e, nel corso del tempo, sono finiti nel fiume Pescara e hanno inquinato la falda sottostante. Il tutto non in una discarica abusiva ma in quello che doveva essere la garanzia per il trattamento corretto di questi rifiuti: l’impianto di depurazione consortile a Chieti Scalo. Per questo sono finite ai domiciliari quattro persone e l'impianto è stato sequestrato al termine di un'indagine del Corpo forestale dello Stato dei comandi provinciali di Chieti e Pescara, coordinati dalla Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia - dell’Aquila
Le ordinanze sono state emesse dal gip Giuseppe Romano Gargarella e riguardano il presidente del consorzio Roberto Roberti, il direttore generale del consorzio Tommaso Valerio, il capo settore ecologia Andrea De Luca e Stefano Storto, responsabile del laboratorio analisi chimiche. I reati per i quali si procede, nell’ambito dell’operazione denominata «Panta Rei», sono traffico illecito di rifiuti, inquinamento ambientale, truffa ai danni dello Stato ed abuso d’ufficio.
L’attività d’indagine, svolta congiuntamente dai Comandi provinciali della forestale di Chieti e Pescara, coordinata dai sostituti procuratori presso la Dda di L’Aquila, Antonietta Picardi e David Mancini, è iniziata nel febbraio 2015 e sin dalle preliminari attività di accertamento ha messo in luce gravi irregolarità nel trattamento e depurazione dei reflui e di rifiuti liquidi. La prosecuzione delle indagini, che ha visto gli agenti del Corpo impegnati in attività d’intercettazione telefoniche ed ambientali integrate da indagini documentali, ha permesso di cristallizzare una serie di condotte illecite nelle modalità di gestione e funzionamento dell’impianto di depurazione del capoluogo teatino.
Alcune perquisizioni effettuate nel dicembre 2015 presso l’impianto e gli uffici del Consorzio - è stato spiegato in conferenza stampa - hanno fornito la conferma dei primi indizi e consentito di quantificare con certezza la dimensione di alcuni degli illeciti investigati: è stato ad esempio accertato che 1090 tonnellate di rifiuti liquidi provenienti dalla Toscana, contenenti elevate concentrazioni di arsenico, sono stati accettati in impianto in assenza delle necessarie analisi che ne attestassero la composizione, così come sono stati conferiti percolati di discariche con alti valori di ammoniaca (5 volte il limite dello scarico autorizzato) fornendo sistematicamente all’Arta (Agenzia regionale per la tutela ambientale) dati palesemente manipolati.
In ulteriori casi si è accertato che gli indagati si siano resi responsabili del mancato o non corretto trattamento di acque reflue, falsificando documenti ed analisi o avvalendosi del laboratorio compiacente per l’alterazione dei risultati analitici. Le indagini hanno rivelato anche la gestione illecita di un ingente quantitativo di fanghi di depurazione che venivano illegalmente miscelati falsificandone, anche in questo caso, la relativa documentazione, per lo smaltimento dei quali il Consorzio di Bonifica ha percepito indebite sovvenzioni economiche da parte del Comune di Chieti per 300.000 euro, anche se la somma - è stato specificato - è quasi certamente superiore.
Inoltre, sono state accertate gravi problematiche strutturali e manutentive degli impianti, più volte rilevata anche dall’Arta, conclamata nell’esistenza di falle nelle vasche di trattamento attraverso le quali sono confluiti nel sottosuolo reflui e fanghi inquinati. Il Consorzio - organismo di diritto pubblico - ha inoltre affidato appalti a privati per servizi di trasporto e smaltimento dei fanghi in assenza delle prescritte procedure di evidenza pubblica, avvalendosi della società Depuracque, gestore autorizzato di un confinante impianto di trattamento di rifiuti pericolosi che scarica nell’impianto del Consorzio.
Nel corso del tempo vi è stato un continuo sversamento di reflui non trattati nel fiume Pescara che, unitamente alla gestione irregolare degli ingenti carichi di percolato da discariche, hanno prodotto, secondo quanto emerso nel corso dell’indagine, l’aggravarsi dell’inquinamento della falda sottostante e del fiume stesso. Intanto - ha detto il sostituto Picardi - le indagini proseguono. Tra i reati contestati c’è anche il peculato.
A seguito del sequestro, la gestione del Consorzio di Bonifica Centro è stata affidata ad un amministratore giudiziario nella persona di Andrea Colantonio.