San Salvo, scoperta raffineria usata dalla 'ndrangheta
I militari dell'Arma hanno sequestrato 2,5 chili di cocaina, materiale chimico per la raffinazione e 5 pistole. Quattro arresti. Tre sono di origini calabresi, e uno sarebbe il figlio di un capocosca della 'ndrangheta del crotonese
PESCARA. Gli ovuli arrivavano a San Salvo dove venivano trasformati in cocaina da 20mila euro al chilo: la prima raffineria abruzzese della ‘ndrangheta è stata smantellata.
E’ in un deposito in via Celestino V a San Salvo, in un locale colmo di scatoloni contenenti solventi, faretti, mannite, presse e tutto il materiale per raffinare e confezionare la cocaina che i carabinieri di Pescara hanno sorpreso tre calabresi affiliati alla ‘ndrangheta: sono Eugenio Ferrazzo, 33 anni, detto “Roberto il calabrese”, originario di Mesoraca in provincia di Crotone e residente a Campomarino in provincia di Campobasso, sua moglie Maria Grazia Catizzone, 28 anni, residente a Vasto, Rocco Perrello, 33 anni, di Scilla in provincia di Reggio Calabria e residente a Vasto. Quando i carabinieri hanno fatto irruzione nel cuore della notte nel garage di San Salvo, i tre sono rimasti in silenzio e sono stati arrestati, insieme a una donna romena di 27 anni residente a San Salvo, Alina Elena Anton, per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti che, in questo caso, viene punita con un pena che non può essere inferiore ai 24 anni perché i calabresi avevano anche armi, cinque pistole.
JEANS, PISTOLE E COCA. Il deposito aveva come insegna un marchio di jeans e al suo interno i carabinieri diretti dal comandante Marcello Galanzi, dal colonnello Marcello Scocchera e dal capitano Eugenio Nicola Stangarone, hanno trovato centinaia di scatoloni di cartoni ammassati in cui erano impacchettati i pantaloni che venivano venduti: l’attività di facciata che i calabresi svolgevano a San Salvo e che erano pronti a portare in una via centrale di Pescara dove già stavano cercando dei locali. Una copertura per celare, in realtà, un laboratorio con il materiale chimico e meccanico per raffinare, tagliare e confezionare la cocaina. Un deposito così ricco e organizzato che, secondo gli investigatori, avrebbe avuto la capacità di produrre anche cento chili di cocaina all’anno. Dal garage, i carabinieri sono passati a perquisire le case dove hanno trovato 2,5 chili di cocaina in panetti, 10 mila euro in contanti probabilmente frutto della vendita della droga, 5 pistole clandestine calibro 44 magnum, calibro 9, una beretta, tante munizioni, portando via anche due macchine e due motorini. Nella notte, i carabinieri si sono spinti fino a casa di Ferrazzo a Campomarino, una casa «impenetrabile», la definiscono.
LA RAFFINERIA. Lo scacco alla ’ndrangheta in Abruzzo è il frutto di un’indagine iniziata dai carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Pescara dalla scoperta di un giro di auto rubate di grossa cilindrata e virata verso la droga dopo aver arrestato tre corrieri bloccati in Provincia di Como e finiti in carcere nel marzo 2011: tasselli di una quadro in cui non c’è nessun abruzzese e che, con il blitz della scorsa notte, coordinato dalla direzione distrettuale antimafia dell’Aquila, è stato ricomposto nei ruoli di corrieri e trasportatori che facevano capo a Ferrazzo e con al centro la raffineria di San Salvo.
Gli ovuli di cocaina arrivavano dal Sudamerica nel deposito di San Salvo: qui venivano mischiati a vari solventi e diventavano cocaina liquida. Con alcuni fari, che sono stati sequestrati, la cocaina liquida veniva fatta essiccare e, diventata di nuovo solida, veniva pressata e tagliata. Mannite, presse, fari, ipoclorito di sodio, lidocaina, solventi, una sostanza rosa che dovrà essere analizzata: è questo il materiale chimico e meccanico sequestrato nella raffineria a cui i carabinieri sono arrivati dopo una lunga indagine.
I CORRIERI. Due mesi fa, durante la perquisizione in una casa di Vasto, i carabinieri arrestano per spaccio un domenicano di nome Brea Comas Stalin e 1,5 chili di cocaina pura. Da qui, si mettono sulle tracce del proprietario della casa di Vasto, Sergio De Pascalis, di origini francesi, lo intercettano, lo pedinano e arrivano ad altri due nomi: il brasiliano Junior Domingo Catanzaro, 70 anni, residente a San Salvo, e Antonio Pinna, 45 anni, nato in provincia di Cagliari. De Pascalis era in auto in Provincia di Como e stava per consegnare la droga a Pinna: uno scambio che sarebbe fruttato 20 mila euro.
L’uomo viene fermato e nella sua auto i carabinieri trovano un chilo di cocaina confezionata in ovuli nascosti in un parallelepipedo di metallo attaccato con i bulloni al motore dell’auto oltre che 12 telefonini e un pc portatile. Pinna, Catanzarato e De Pascalis vengono trasferiti nel carcere di Monza e, anche grazie alle intercettazioni telefoniche, i militari arrivano a ricomporre il puzzle: la droga raffinata nel deposito di San Salvo e i corrieri avanti e indietro per l’Italia per piazzare la cocaina: un’organizzazione con a capo Eugenio Ferrazzo, già arrestato in Ecuador per traffico di droga nel 2003 e, secondo gli investigatori, figlio di Felice Ferrazzo, a capo dell’omonimo clan della ‘ndrangheta a Mesoraca (Crotone), protagonista di una serie di delitti e oggi collaboratore di giustizia. Padre e figlio si salvarono anche da agguato perché viaggiavano su un’auto blindata. Con Ferrazzo, «l’amico fedele», il reggino Rocco Perrello, che conosceva il territorio, l’uomo già arrestato nel 2010 perché custodiva nel forno della cucina a Vasto 2 pistole e 5 caricatori
E’ in un deposito in via Celestino V a San Salvo, in un locale colmo di scatoloni contenenti solventi, faretti, mannite, presse e tutto il materiale per raffinare e confezionare la cocaina che i carabinieri di Pescara hanno sorpreso tre calabresi affiliati alla ‘ndrangheta: sono Eugenio Ferrazzo, 33 anni, detto “Roberto il calabrese”, originario di Mesoraca in provincia di Crotone e residente a Campomarino in provincia di Campobasso, sua moglie Maria Grazia Catizzone, 28 anni, residente a Vasto, Rocco Perrello, 33 anni, di Scilla in provincia di Reggio Calabria e residente a Vasto. Quando i carabinieri hanno fatto irruzione nel cuore della notte nel garage di San Salvo, i tre sono rimasti in silenzio e sono stati arrestati, insieme a una donna romena di 27 anni residente a San Salvo, Alina Elena Anton, per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti che, in questo caso, viene punita con un pena che non può essere inferiore ai 24 anni perché i calabresi avevano anche armi, cinque pistole.
JEANS, PISTOLE E COCA. Il deposito aveva come insegna un marchio di jeans e al suo interno i carabinieri diretti dal comandante Marcello Galanzi, dal colonnello Marcello Scocchera e dal capitano Eugenio Nicola Stangarone, hanno trovato centinaia di scatoloni di cartoni ammassati in cui erano impacchettati i pantaloni che venivano venduti: l’attività di facciata che i calabresi svolgevano a San Salvo e che erano pronti a portare in una via centrale di Pescara dove già stavano cercando dei locali. Una copertura per celare, in realtà, un laboratorio con il materiale chimico e meccanico per raffinare, tagliare e confezionare la cocaina. Un deposito così ricco e organizzato che, secondo gli investigatori, avrebbe avuto la capacità di produrre anche cento chili di cocaina all’anno. Dal garage, i carabinieri sono passati a perquisire le case dove hanno trovato 2,5 chili di cocaina in panetti, 10 mila euro in contanti probabilmente frutto della vendita della droga, 5 pistole clandestine calibro 44 magnum, calibro 9, una beretta, tante munizioni, portando via anche due macchine e due motorini. Nella notte, i carabinieri si sono spinti fino a casa di Ferrazzo a Campomarino, una casa «impenetrabile», la definiscono.
LA RAFFINERIA. Lo scacco alla ’ndrangheta in Abruzzo è il frutto di un’indagine iniziata dai carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Pescara dalla scoperta di un giro di auto rubate di grossa cilindrata e virata verso la droga dopo aver arrestato tre corrieri bloccati in Provincia di Como e finiti in carcere nel marzo 2011: tasselli di una quadro in cui non c’è nessun abruzzese e che, con il blitz della scorsa notte, coordinato dalla direzione distrettuale antimafia dell’Aquila, è stato ricomposto nei ruoli di corrieri e trasportatori che facevano capo a Ferrazzo e con al centro la raffineria di San Salvo.
Gli ovuli di cocaina arrivavano dal Sudamerica nel deposito di San Salvo: qui venivano mischiati a vari solventi e diventavano cocaina liquida. Con alcuni fari, che sono stati sequestrati, la cocaina liquida veniva fatta essiccare e, diventata di nuovo solida, veniva pressata e tagliata. Mannite, presse, fari, ipoclorito di sodio, lidocaina, solventi, una sostanza rosa che dovrà essere analizzata: è questo il materiale chimico e meccanico sequestrato nella raffineria a cui i carabinieri sono arrivati dopo una lunga indagine.
I CORRIERI. Due mesi fa, durante la perquisizione in una casa di Vasto, i carabinieri arrestano per spaccio un domenicano di nome Brea Comas Stalin e 1,5 chili di cocaina pura. Da qui, si mettono sulle tracce del proprietario della casa di Vasto, Sergio De Pascalis, di origini francesi, lo intercettano, lo pedinano e arrivano ad altri due nomi: il brasiliano Junior Domingo Catanzaro, 70 anni, residente a San Salvo, e Antonio Pinna, 45 anni, nato in provincia di Cagliari. De Pascalis era in auto in Provincia di Como e stava per consegnare la droga a Pinna: uno scambio che sarebbe fruttato 20 mila euro.
L’uomo viene fermato e nella sua auto i carabinieri trovano un chilo di cocaina confezionata in ovuli nascosti in un parallelepipedo di metallo attaccato con i bulloni al motore dell’auto oltre che 12 telefonini e un pc portatile. Pinna, Catanzarato e De Pascalis vengono trasferiti nel carcere di Monza e, anche grazie alle intercettazioni telefoniche, i militari arrivano a ricomporre il puzzle: la droga raffinata nel deposito di San Salvo e i corrieri avanti e indietro per l’Italia per piazzare la cocaina: un’organizzazione con a capo Eugenio Ferrazzo, già arrestato in Ecuador per traffico di droga nel 2003 e, secondo gli investigatori, figlio di Felice Ferrazzo, a capo dell’omonimo clan della ‘ndrangheta a Mesoraca (Crotone), protagonista di una serie di delitti e oggi collaboratore di giustizia. Padre e figlio si salvarono anche da agguato perché viaggiavano su un’auto blindata. Con Ferrazzo, «l’amico fedele», il reggino Rocco Perrello, che conosceva il territorio, l’uomo già arrestato nel 2010 perché custodiva nel forno della cucina a Vasto 2 pistole e 5 caricatori