Sixty cinese, i timori dei lavoratori
D'Andrea (Rsu): cedere l'azienda a chi non ha cultura tessile è da irresponsabili
CHIETI. «La preoccupazione è altissima». Così Marino D Andrea della Rsu Sixty ieri pomeriggio, al termine dell'assemblea con i lavoratori. Una riunione a cui i giornalisti non possono assistere per decisione dell'azienda. «Erano presenti», racconta D Andrea, «una settantina di lavoratori: avevano bisogno di confrontarsi, tutti temono allo stesso modo per il proprio posto».
«Abbiamo colto le loro preoccupazioni», dice D'Andrea, «considerate le notizie che abbiamo». Informazioni minime, dal momento che «finora l'azienda non si è confrontata con noi», puntualizza D Andrea. «Venerdì scorso la proprietà ha ricevuto le Rsu per comunicare la cessione alla società di investimenti Crescent HidePark, con sede a Singapore». E poi nulla per 8 giorni. «Nessuno si è rivolto ai rappresentanti sindacali: è inaudito che finora non siamo stati informati e convocati per conoscere quale sarà il futuro dei lavoratori. Vogliamo chiarezza», dice ancora, «perché a questo punto la situazione si fa preoccupante: cedere la Sixty ad una società che non ha cultura tessile, che non tiene in considerazione il made in Italy e le competenze dei dipendenti è un atto di totale irresponsabilità nei confronti dei lavoratori». Una beffa ancora più amara, perché «hanno venduto subito dopo la firma di un accordo, disinteressandosi totalmente dei lavoratori e delle famiglie».
Il patto prevedeva corsi di formazione e riqualificazione per i dipendenti Sixty: se ne sarebbe dovuto discutere in Regione mercoledì. «Ma all'annuncio della cessione è saltato tutto», spiega D'Andrea.
Al momento, dunque, è ancora incerto il futuro dei 414 dipendenti dell azienda tessile di via Piaggio. Per 110 di loro è già arrivata la cassa integrazione, altri 60 sono in attesa della lettera, mentre 40 lavoratori ruotano con i colleghi dello stesso reparto. Centinaia di persone che hanno contribuito a costruire la fama della Sixty.
«Qui non c'è nessun operaio», precisa Marino D Andrea, «e con gli esuberi si elimina la testa del marchio». L'incertezza sul futuro, però, non coincide con una chiusura netta nei confronti del fondo di investimento panasiatico che ha rilevato l'azienda. «Se davvero la nuova proprietà vuole rilanciare il marchio», dice D'Andrea, «devono riassorbire i 170 esuberi. Soltanto così si possono conquistare i mercati emergenti di India, Brasile e Cina: sarebbe una dimostrazione di buona volontà».
Dello stesso avviso Giuseppe Rucci, della Filctem Cgil, che dice: «Oltre alla risoluzione del problema economico è necessario il ritiro degli esuberi». E ribadisce quanto già dichiarato nei giorni scorsi: «Il presidente di Confindustria, Paolo Primavera, ha associato la vicenda Sixty a quella Brioni, acquistata dai francesi. Condivido questo paragone purché la nuova proprietà provveda al ritiro degli esuberi e al rilancio. Se così non sarà, il confronto con la Brioni potrebbe risultare addirittura offensivo».
Il sindacalista non risparmia una stoccata ai delegati della Cisl, che non hanno partecipato all'assemblea perché preferiscono aspettare di conoscere ulteriori particolari sulla cessione. «Confrontarsi con i lavoratori fa sempre bene», dice, «c'era bisogno di un'assemblea e di una risposta forte». E lancia un appello all'azienda: «Aspettiamo a breve una convocazione che ancora non c'è».
In attesa di sapere cosa sarà dei loro posti di lavoro, i dipendenti della Sixty mantengono il presidio permanente di fronte alla sede dell' azienda. La prossima assemblea ci sarà solo dopo che i sindacati avranno incontrato la proprietà, quando potranno dare notizie certe sul futuro.
«Abbiamo colto le loro preoccupazioni», dice D'Andrea, «considerate le notizie che abbiamo». Informazioni minime, dal momento che «finora l'azienda non si è confrontata con noi», puntualizza D Andrea. «Venerdì scorso la proprietà ha ricevuto le Rsu per comunicare la cessione alla società di investimenti Crescent HidePark, con sede a Singapore». E poi nulla per 8 giorni. «Nessuno si è rivolto ai rappresentanti sindacali: è inaudito che finora non siamo stati informati e convocati per conoscere quale sarà il futuro dei lavoratori. Vogliamo chiarezza», dice ancora, «perché a questo punto la situazione si fa preoccupante: cedere la Sixty ad una società che non ha cultura tessile, che non tiene in considerazione il made in Italy e le competenze dei dipendenti è un atto di totale irresponsabilità nei confronti dei lavoratori». Una beffa ancora più amara, perché «hanno venduto subito dopo la firma di un accordo, disinteressandosi totalmente dei lavoratori e delle famiglie».
Il patto prevedeva corsi di formazione e riqualificazione per i dipendenti Sixty: se ne sarebbe dovuto discutere in Regione mercoledì. «Ma all'annuncio della cessione è saltato tutto», spiega D'Andrea.
Al momento, dunque, è ancora incerto il futuro dei 414 dipendenti dell azienda tessile di via Piaggio. Per 110 di loro è già arrivata la cassa integrazione, altri 60 sono in attesa della lettera, mentre 40 lavoratori ruotano con i colleghi dello stesso reparto. Centinaia di persone che hanno contribuito a costruire la fama della Sixty.
«Qui non c'è nessun operaio», precisa Marino D Andrea, «e con gli esuberi si elimina la testa del marchio». L'incertezza sul futuro, però, non coincide con una chiusura netta nei confronti del fondo di investimento panasiatico che ha rilevato l'azienda. «Se davvero la nuova proprietà vuole rilanciare il marchio», dice D'Andrea, «devono riassorbire i 170 esuberi. Soltanto così si possono conquistare i mercati emergenti di India, Brasile e Cina: sarebbe una dimostrazione di buona volontà».
Dello stesso avviso Giuseppe Rucci, della Filctem Cgil, che dice: «Oltre alla risoluzione del problema economico è necessario il ritiro degli esuberi». E ribadisce quanto già dichiarato nei giorni scorsi: «Il presidente di Confindustria, Paolo Primavera, ha associato la vicenda Sixty a quella Brioni, acquistata dai francesi. Condivido questo paragone purché la nuova proprietà provveda al ritiro degli esuberi e al rilancio. Se così non sarà, il confronto con la Brioni potrebbe risultare addirittura offensivo».
Il sindacalista non risparmia una stoccata ai delegati della Cisl, che non hanno partecipato all'assemblea perché preferiscono aspettare di conoscere ulteriori particolari sulla cessione. «Confrontarsi con i lavoratori fa sempre bene», dice, «c'era bisogno di un'assemblea e di una risposta forte». E lancia un appello all'azienda: «Aspettiamo a breve una convocazione che ancora non c'è».
In attesa di sapere cosa sarà dei loro posti di lavoro, i dipendenti della Sixty mantengono il presidio permanente di fronte alla sede dell' azienda. La prossima assemblea ci sarà solo dopo che i sindacati avranno incontrato la proprietà, quando potranno dare notizie certe sul futuro.
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