Sixty, la salvezza arriva dalle banche
Ore decisive per convincere gli istituti di credito a ripianare il debito da 300 milioni ereditato dai nuovi proprietari cinesi
CHIETI. Ore cruciali per Sixty. E’ attesa tra oggi e domani, ameno di ulteriori rilanci, la risposta delle banche alla proposta di transazione sul debito avanzata dal nuovo proprietario del gruppo moda, il fondo d’investimento panasiatico Crescent HidePark. Bocche cucite tra il management aziendale mentre tra i lavoratori dilaga l’apprensione sugli scenari futuri, che potrebbero rivelarsi ancor più devastanti dei 170 esuberi previsti dal piano industriale di ristrutturazione e rilancio.
«Le istituzioni devono vigilare su questo passaggio delicato così come sull’intera vicenda», è l’appello di Giuseppe Rucci della Filctem-Cgil, - ogni giovedì teniamo una assemblea pubblica con i lavoratori nel presidio attivo da mesi in via Piaggio. Potrebbe essere un buon momento per testimoniare con la propria presenza l’attenzione su questa vertenza e magari anche relazionare sulle informazioni apprese». Restano infatti pesanti coni d’ombra sul futuro prossimo di Sixty Spa, mentre all'interno dell'azienda non manca chi vorrebbe un'azione di pressing istituzionale sulle banche, per accettare le condizioni di ristrutturazione del debito avanzate da Crescent.
«Sembra che il fondo di Singapore», dice Marino D’Andrea, Rsu Sixty, -per appianare i 257 milioni di debito in capo a Sixty Spa, abbia offerto alle banche 20 milioni più l’immobile ex sede di Sixty Log e forse anche quello della sede centrale di via Piaggio, per complessivi altri 29 milioni di euro».
Il sindacalista aggiunge anche che il fondo d'investimento sarebbe disponibile a rifondere per intero il debito di 36 milioni in capo a Sixty international, proprietaria di marchi. «Questo è un aspetto che pone interrogativi importanti», dicono Rucci e D’Andrea, «sulle intenzioni che i nuovi proprietari hanno per il futuro dell’azienda, visto che sui marchi si espongono in maniera così netta. Non vorremmo si risolva tutto sul rilevare i marchi e mandare al macero il resto. Poniamo, dunque, che venga chiusa la transazione con le banche, e lo auspichiamo, sarà importante capire se rimarrà comunque il ruolo centrale di Chietii. Qui ci sono competenze che hanno fatto grande il gruppo e che potrebbero giocare un ruolo cruciale sull'aggressione di quel miliardo di cinesi che chiede solo e soltanto Made in Italy reale» .Torna, dunque, prepotente sui lavoratori lo spettro della delocalizzazione, che spaventa proprio per il contraccolpo occupazionale che avrebbe sulla vallata e che viene mal digerito anche alla luce della linea generale del Made in Italy di aggredire i nuovi mercati, in particolare quello cinese, senza boicottare il vero stile italiano, fatto di qualità della manifattura e dei tessuti utilizzati.
«Ora che anche i poli di innovazione abruzzesi mettono in campo il Made in Abruzzo-, prosegue Rucci, - ci chiediamo come si pone Sixty in questa dinamica, visto che ne fa parte». Torna in primo piano, allora, la necessità di una riflessione attiva sul prosieguo del sodalizio tra Sixty e Abruzzo. «In questi anni il management Sixty ha puntato sempre di più su operazioni di finanza», conclude D’Andrea, «Sarebbe il caso di invertire questo atteggiamento, anche perché i risultati non sono stati eclatanti».
Sipo Beverelli
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