«Strever uccisa al posto del fratello»

I Pm nella citazione in giudizio di Hamid: non era Michela la vittima designata ma Antonio per un regolamento di conti

VASTO. Non era Michela Strever, 68 anni, la persona che Hamid Maathaoui, 36 anni, voleva uccidere la mattina del 19 dicembre 2012.La vittima designata pare fosse il fratello della pensionata. L’operaio marocchino prima di massacrare di botte e soffocare Michela era andato, infatti, a casa del fratello della donna, Antonio Strever. Stando alla ricostruzione dei fatti riportata sul decreto di citazione a giudizio dell’indagato, l’intenzione del marocchino sarebbe stata quella di regolare i conti in sospeso con Antonio Strever arrivando anche a ucciderlo.

«Questo particolare, scoperto grazie alla meticolosità e professionalità con cui i Pm Giancarlo Ciani ed Enrica Medori hanno condotto le indagini, ridà serenità al mio cliente», afferma l’avvocato Arnaldo Tascione. legale di Antonio Strever. «Questo omicidio ha stravolto l’intera famiglia Strever. Sia Antonio e sia le sorelle si costituiranno in giudizio parte civile contro l’imputato», annuncia l'avvocato.

Antonio Strever sarebbe vivo solo perché Maathaoui non riuscì ad entrare in casa sua. L’operaio, alla ricerca disperata di denaro, si diresse allora verso la casa di Michela Strever. L’uomo entrò grazie ad una piccola finestra sul retro della casa. Il suo ingresso svegliò la vittima che, nonostante il camuffamento, lo riconobbe mentre prendeva i soldi: 60 euro. A quel punto il marocchino iniziò a colpirla. La poveretta cominciò ad urlare e Maathaoui per farla tacere le riempì la bocca di fazzoletti di carta. Michela Strever dopo pochi minuti morì per soffocamento.

Hamid Maathaoui il prossimo 22 ottobre dovrà rispondere dell’omicidio aggravato della pensionata e di rapina.

Il compito dell’avvocato Nicola Artese, che è riuscito ad ottenere per il suo cliente il giudizio abbreviato, si complica. L’indagato ha confessato di avere aggredito e derubato la Strever ma ha anche aggiunto di essere fuggito lasciando la donna ancora viva. La relazione del medico legale racconta però una storia diversa. «Ma anche i risultati degli esami del Dna inchiodano l’operaio», ricorda l’avvocato Tascione.

In un primo momento come atto dovuto fu indagato anche Antonio Strever, la prima persona che scoprì il cadavere della sorella Michela. Un mese fa il sostituto procuratore Giancarlo Ciani ha chiesto l’archiviazione per l’uomo e il Gip l’ha concessa. «Per il mio cliente è la fine di un incubo. Ora sia lui e sia le sorelle intendono costituirsi parte civile contro l’uomo che ha distrutto la loro famiglia portando tanto dolore e disagio», ripete l’avvocato Tascione.

Paola Calvano

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