Un’agenda tradisce il clan della cocaina

In un quadernetto i nomi dei vastesi dell’organizzazione con date e luoghi dello spaccio di sostanze stupefacenti

VASTO. Il mosaico della criminalità nel Vastese è ricostruito nelle 400 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare notificata venerdì agli avvocati degli 84 indagati, 31 dei quali finiti in carcere. In realtà molte rivelazioni hanno confermato quanto scoperto dai carabinieri di Vasto un anno fa grazie a un’agenda trovata in casa di un amico di Fabio Martusciello, 31 anni, disoccupato napoletano residente a Gissi. Un piccolo quaderno pieno di nomi, date e luoghi. Una sorta di libro-mastro degli acquisti e delle vendite della droga.

Le indagini da Gissi. Gran parte del lavoro svolto dai carabinieri ha avuto come base Gissi. Centinaia le notti insonni e le intercettazioni. Da quei colloqui, alcuni dei quali in dialetto napoletano arcaico e per questo incomprensibili ai più, è emerso lo stretto legame fra Lorenzo Cozzolino, figura cardine dell’“Operazione Adriatico”, e alcuni personaggi del territorio noti alle forze dell’ordine. Nessuno sa cosa abbia spinto Cozzolino a decidere di collaborare. Sta di fatto che, all’improvviso, dopo aver negato le accusa per anni, l’ex boss campano ha deciso di parlare con i magistrati e ricostruendo due lustri di criminalità nel territorio. Un velo alzato su tanti misteri rimasti irrisolti.

I depositi di droga. Secondo quanto scoperto dalla Procura aquilana, era affidata a 56 persone. Il traffico nel Vastese assicurava all’associazione, una struttura organizzativa consistente, imponenti risorse economiche. Il clan poteva contare su depositi per la droga. A Gissi c’erano appartamenti trasformati in basi operative. Altre erano a Vasto. Il gruppo poteva disporre di numerosi telefonini intestati a prestanome e che venivano cambiati con frequenza ma anche di auto di tutte le cilindrate.

Armi e attentati. Il passaggio più inquietante riguarda la disponibilità delle armi. Il clan ne aveva a iosa. Guai a sgarrare. Nel 2004, a Gissi, Cozzolino tentò di uccidere una persona sparando contro di lui un colpo di pistola calibro 7,65. Un anno dopo a Carpineto Sinello i colpi di pistola furono addirittura sette. Il 23 febbraio 2007 altri 9 colpi d’arma da fuoco parabellum vennero sparati contro un’abitazione. Anche l’attentato contro un nomade vastese avvenuto l’8 giugno 2008 in via San Rocco sarebbe stata un’azione punitiva della famiglia Cozzolino. Quel giorno i residenti di via San Rocco furono sconvolti dagli spari che solo per miracolo non uccisero Ferdinando Bevilacqua. A tentare di uccidere il nomade sarebbero state Italia Belsole e la figlia di Cozzolino, Giovanna. Le due donne avrebbero esploso tre colpi di pistola contro il rom. Subito dopo l’attentato, Lorenza Cozzolino avrebbe messo a disposizione delle altre due un appartamento al quartiere San Paolo per nascondere le armi e abiti maschili per fuggire. Neppure i carabinieri sono stati risparmiati dal clan. Il 27 marzo 2009 per vendetta fu incendiata la Nissan Micra di un militare della stazione di Gissi.

Le accuse ai familiari. I magistrati sottolineano che Cozzolino non ha avuto alcuna reticenza nell’attribuire la responsabilità dei reati, qualcuno decisamente molto grave, ai familiari. Ha accusato le sorelle, i cognati, la moglie e le figlie. Tra i capi di accusa alcuni rivelano che il clan dal 2011 iniziò ad imporre tangenti agli imprenditori del Vastese per finanziare le proprie casse.

La confessione e i confronti. Quella di Cozzolino potrebbe non essere finita. L’uomo è rinchiuso in un carcere di protezione. Nessuno sa dove. Neppure la moglie che è guardava a vista. Al termine degli interrogatori potrebbero anche esserci dei confronti.

Paola Calvano

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