Università d'Annunzio, in 88 fanno causa all'ex dg: «Spiati sul posto di lavoro»
Ricorso dei dipendenti contro le telecamere messe da Del Vecchio e per la sua lista degli “strapagati”. Tecnici e amministrativi chiedono i danni: vogliono un risarcimento di 10 mesi di stipendio
CHIETI. Ottantotto dipendenti pronti a fare ricorso contro l’ex direttore generale dell’ateneo d’Annunzio Filippo Del Vecchio e, di riflesso, anche contro l’università per violazione della privacy. Assistiti dall’avvocato Leo Brocchi chiederanno al giudice del lavoro di «condannare il dottor Filippo Del Vecchio», si legge nel ricorso, «e l’università d’Annunzio, in solido fra loro, al risarcimento del danno in favore di ciascun ricorrente, in misura pari a 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita».
I motivi del ricorso. Tre le lamentele alla base del ricorso. La prima riguarda la pubblicazione della famigerata lista dei dipendenti che, a detta di Del Vecchio, erano stati “stapagati” nel corso della precedente gestione universitaria. Per volere dell’ex dg, la lista dei 113 dipendenti che avrebbero goduto di illeciti benefici economici fu pubblicata sul sito ufficiale di ateneo e fu inviata tramite mail a tutti i dipendenti dell’università. Per l’avvocato Brocchi si è trattato di «illecito trattamento e diffusione dei dati personali e di informazioni e dati non consentiti oltre che non veritieri».
Il secondo motivo riguarda il regolamento per l’utilizzo dei servizi internet di ateneo che sempre Del Vecchio volle adottare nel 2014. Il regolamento, si legge nel ricorso, «prevede che gli amministratori di sistema possano a loro discrezione, e senza avvisare l’interessato, leggere e manipolare la posta elettronica». Prevede, inoltre, «misure di filtraggio, monitoraggio e tracciature dei collegamenti a siti internet esterni». E infine «sanzioni in caso di violazione delle regole», senza tener conto del fatto che «non risultano istallati nell’amministrazione sistemi di autenticazione forte, che consentano di riferire univocamente l’utenza a una persona fisica».
Infine, l’ultimo motivo riguarda l’istallazione, a settembre del 2014, di «un massiccio e diffuso impianto di videosorveglianza nell’edificio del rettorato, in prossimità dei cartellini marcatempo, nei corridoi antistanti gli uffici, innanzi ai bagni e nei pressi dei distributori delle bevande». Il tutto, «in assenza di qualsiasi accordo sindacale».
I precedenti. Contro le telecamere in ateneo è stata presentata una denuncia in procura. Mentre per diffamazione e violazione della privacy una sessantina di dipendenti hanno sporto querela contro l’ex dg che è finito sotto processo ed è poi stato assolto. Ci fu, infine, anche un esposto al Garante della privacy che diede ragione ai dipendenti, accertando la sussistenza delle violazioni lamentate, e sanzionò l’università. «Veniva così acclarata», si legge nel ricorso, «la palese illeicità degli anacronistici sistemi di spionaggio adottati dall’ex direttore generale», si legge nel ricorso, «nella caricaturale e velleitaria propensione alla patologica gestione dei rapporti di lavoro in stile James Bond».
I motivi del ricorso. Tre le lamentele alla base del ricorso. La prima riguarda la pubblicazione della famigerata lista dei dipendenti che, a detta di Del Vecchio, erano stati “stapagati” nel corso della precedente gestione universitaria. Per volere dell’ex dg, la lista dei 113 dipendenti che avrebbero goduto di illeciti benefici economici fu pubblicata sul sito ufficiale di ateneo e fu inviata tramite mail a tutti i dipendenti dell’università. Per l’avvocato Brocchi si è trattato di «illecito trattamento e diffusione dei dati personali e di informazioni e dati non consentiti oltre che non veritieri».
Il secondo motivo riguarda il regolamento per l’utilizzo dei servizi internet di ateneo che sempre Del Vecchio volle adottare nel 2014. Il regolamento, si legge nel ricorso, «prevede che gli amministratori di sistema possano a loro discrezione, e senza avvisare l’interessato, leggere e manipolare la posta elettronica». Prevede, inoltre, «misure di filtraggio, monitoraggio e tracciature dei collegamenti a siti internet esterni». E infine «sanzioni in caso di violazione delle regole», senza tener conto del fatto che «non risultano istallati nell’amministrazione sistemi di autenticazione forte, che consentano di riferire univocamente l’utenza a una persona fisica».
Infine, l’ultimo motivo riguarda l’istallazione, a settembre del 2014, di «un massiccio e diffuso impianto di videosorveglianza nell’edificio del rettorato, in prossimità dei cartellini marcatempo, nei corridoi antistanti gli uffici, innanzi ai bagni e nei pressi dei distributori delle bevande». Il tutto, «in assenza di qualsiasi accordo sindacale».
I precedenti. Contro le telecamere in ateneo è stata presentata una denuncia in procura. Mentre per diffamazione e violazione della privacy una sessantina di dipendenti hanno sporto querela contro l’ex dg che è finito sotto processo ed è poi stato assolto. Ci fu, infine, anche un esposto al Garante della privacy che diede ragione ai dipendenti, accertando la sussistenza delle violazioni lamentate, e sanzionò l’università. «Veniva così acclarata», si legge nel ricorso, «la palese illeicità degli anacronistici sistemi di spionaggio adottati dall’ex direttore generale», si legge nel ricorso, «nella caricaturale e velleitaria propensione alla patologica gestione dei rapporti di lavoro in stile James Bond».