Cesare Manzo. A destra un'immagine dell'edizione 2012 di Fuori Uso

PESCARA

Cesare Manzo, un innamorato dell’arte 

Ritratto del gallerista pescarese morto a a 73 anni che inventò la rassegna Fuori Uso in edifici abbandonati 

«Scrivevo poesie e racconti. I concetti erano anche buoni, ma non sapevo scrivere e un giorno qualcuno ebbe il coraggio di farmelo notare. Prima aprii un’edicola in via L’Aquila e portavo personalmente i giornali nei paesi: un macellaio, in cambio del giornale, mi dava salsicce a prezzo scontato e un altro, in cambio del Manifesto, mi dava pezze di formaggio. Così la sera, con i miei amici, una cerchia di artisti, banchettavamo, e da cani sciolti di sinistra, discutevamo con entusiasmo, con grande confusione, la voglia di andare contro il potere: “Perché il figlio di un operaio non poteva andare all’università?”».
C’è tutto Cesare Manzo in questo racconto affidato al Centro in un’intervista del 2011. Era affamato di vita e di avventure, un eccentrico innamorato dell’arte che guardava e trattava senza il frigido distacco di tanti. Un quadro, una scultura, una performance erano, ai suoi occhi, una bella donna da sedurre o una tavola imbandita come nei dipinti di un manierista. La sua vita, Cesare Manzo, l’ha vissuta come voleva fino in fondo, fino all’altra notte quando se n’è andato a meno di un mese dai 73 anni. I funerali si terranno questa mattina alle 11 nella cattedrale di San Cetteo nel cuore di Pescara la sua città che ha amato e detestato con lo stesso trasporto fanciullesco.
Con la morte di Manzo, gallerista d’arte, promotore di rassegne, scopritore e mentore di talenti, se ne va un altro pezzo di quella storia di Pescara, città cosmopolita e aperta alle fibrillazioni della modernità e alle correnti artistiche di avanguardia. Di quella storia Manzo è stato uno dei motori, fin dal 1966 quando, aprì la sua prima galleria in via Galilei, mentre lavorava ancora nel business di famiglia, quello delle edicole di giornali. Obbedendo al suo carattere mercuriale, Manzo trasferisce la sua galleria prima in via dei Sabini, poi in viale Regina Elena, dove per un po’ di tempo, prende come una sorta di ragazzo di bottega Andrea Pazienza. Il futuro grande fumettista gli fa da segretario. Ma, raccontava Manzo, non era granché portato per quel lavoro. Lui se lo tiene soprattutto per ammirare i disegni che lascia sulla scrivania quando gli dice di andare a prendersi un caffè al bar.
La storia di Manzo coincide quasi con quella dell’arte a Pescara nell’ultimo mezzo secolo, anche se la sua parabola cittadina conosce due interruzioni : tra il 1980 e il 1985 gestisce una galleria a Milano e dal 2007 al 2011 ne apre un’altra a Roma, in vicolo del Governo Vecchio.
Tra queste due parentesi c’è l’avventura alla quale era più affezionato, quella di Fuori Uso una rassegna di artisti contemporanei italiani e stranieri che Manzo organizza, con diversi buchi temporali, dal 1990 al 2016. L’idea è quella di proporre opere e performance in luoghi abbandonati della città: ex fabbriche, scuole, mercati, alberghi. L’intenzione è quella di creare un cortocircuito fra pezzi di archeologia urbana e la modernità delle proposte di artisti immersi nella contemporaneità. Manzo, però, unisce a questo obiettivo quello di segnalare a politici e amministratori luoghi che, sottratti al loro vecchio valore d’uso, possano rinascere con una nuova, diversa funzione culturale. Luoghi come l'Aurum, l'ex Cofa, l'ex Gaslini, l'istituto Di Marzio, l'ex Fea, l'ex Ferrotel e la Stella Maris. In 16 anni,fra quelle mura passa il meglio dell’arte italiana e mondiale: da Boetti a Chia, da Man Ray, a Mattiacci, Montesano, Andy Warhol, Zorio e Pistoletto. A lavorare con lui chiama grandi critici e organizzatori come Achille Bonito Oliva e Giacinto Di Pietrantonio. «Avevo un pallino», raccontava in quell’intervista al Centro di 8 anni fa, «in Italia non c’era un museo d’arte contemporanea. E mi dicevo: ma un museo deve essere per forza una struttura pulita, ordinata? No, ed ecco l’idea di ridare vita a edifici abbandonati a cui davamo una ristrutturatina giusto per non farci cadere le pietre addosso». L’epilogo è amaro, e arriva fra il 2014 quando, dopo 48 anni, chiude la sua ultima galleria d’arte in via Umbria e il 2016 , l’anno del suo ultimo Fuori Uso. Nell’aprile scorso viene condannato in primo grado per avere riprodotto, contraffatto e posto in vendita alcune opere, di Michelangelo Pistoletto. Ma non c’è finale di partita che possa oscurare una vita vissuta fino alla fine con amorosa voracità da un uomo che ha dato a Pescara e all’Abruzzo più di quanto abbia ricevuto in cambio.

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