l'intervista
Cristian De Sica ad Avezzano: "Ecco la mia Cinecittà"
L’attore di scena sabato e domenica al teatro dei Marsi: «Raccontare quegli studi è come raccontare il nostro Paese»
di Lalla D’Ignazio
AVEZZANO
Per i comuni mortali è il luogo dove i sogni si avverano, dove la cartapesta restituisce città e luoghi ed epoche scomparsi o mai esistiti, dove i divi di ieri e di oggi danno vita a personaggi indimenticabili. Ma se sei il figlio di Vittorio De Sica, che oltre ad essere tuo padre è il padre del Neorealismo e il re Mida dell’epoca d’oro del film – italiano e non solo –, Cinecittà prima di essere la mecca del cinema internazionale al pari di Hollywood, è il tuo parco giochi di bambino, il fantastico punto di incontro di vecchi straordinari amici che hanno fatto sì la storia del cinematografia mondiale ma che per te sono “zii” burloni e “tate” dal viso truccato che ti fanno giocare mentre il babbo gira scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva di più di una generazione.
Christian De Sica sarà in scena domani, 18 aprile, e domenica 19, sempre alle 21 al teatro Dei Marsi di Avezzano con lo spettacolo “Cinecittà”, scritto da lui stesso con Riccardo Cassini, Marco Mattolini e Giampiero Solari. Con De Sica in scena con Daniela Terreri, Ernesta Argira, Daniele Antonini e Alessio Schiavo, un corpo di ballo di otto danzatori per le coreografie di Franco Miseria, disegno luci diMarcello Iazzetti, regia video di Cristina Redini, scenografie di Patrizia Bocconi, musiche dal vivo dell'orchestra diretta dal maestro Marco Tiso con al pianoforte Riccardo Biseo.
De Sica, perché questo spettacolo?
«La nostra Cinecittà è un posto pieno di colori e luci, musica e danze. E ci sono io che racconto quello che conosco di Cinecittà, da quando ci sono andato la prima volta con papà che girava la scena della fucilazione nel Generale Della Rovere. Ricordo con esattezza Roberto Rossellini che mangiava la Coppa del Nonno mentre papà si rotolava colpito a morte. E lì ho capito tutto. La realtà, la finzione... E poi ho continuato ad andare in quegli studi di produzione per tanto tempo; ci giocavo, giocavo con tutti quei mostri sacri che per me erano compagni di giochi. E poi ovviamente da giovane e adulto, stavolta io sul set per le pubblicità con Belen e i film. Racconto quello che ho visto e vissuto, ci sono omaggi teneri a mamma (Maria Mercader ndr) e papà e alla loro storia d'amore nata quando hanno girato La porta del cielo (1944) tra mille problemi e pericoli, il nazifascismo in rotta e ancor più feroce. Raccontare Cinecitta è come raccontare il nostro Paese: imperiale, aristocratica, democratica, popolare e oggi ...non si sa più bene cosa sia, come l'Italia».
C’è un personaggio in particolare che ha voluto ricordare sulla scena?
«Il Sordi privato, quando Alberto veniva a casa mia e mi diceva, raccontava... Uno zio. Mi ha insegnato tante cose. Da lui e papà ho imparato a rendere simpatici i mascalzoni. Ho avuto la fortuna di fare con lui due film. E poi parlo di attori erotici, attori smemorati, attori cani che ho visto e poi la Hollywood sul Tevere, quando sono arrivati gli americani che qui giravano con la Fox Ben Hur e Quo Vadis».
Insomma uno spettacolo scintillante per raccontare un pezzo di storia del nostro Paese...
«Ma sì, certo. Guardi: come si chiamano gli studi cinematografici in Francia? E in Inghilterra? E in Germania? Se escludiamo gli addetti ai lavori e i diretti interessati, nessuno lo sa. Oltre ad Hollywood, l'unico altro termine conosciuto universalmente è Cinecittà. Cinecittà: una parola che riporta ad un mondo fantastico, ad un secolo di storia del cinema scritta da artisti geniali, ma costruita anche sul lavoro di migliaia di comparse, di eccellenti maestranze. Una favola».
Lei sa far ridere tento, cosa invece la fa ridere?
«Mi fa ridere mio cognato Carlo Verdone, ultimamente Checco Zalone e di sicuro il vecchio Boldi».
I registi che preferisce?
«Matteo Garrone, Paolo Sorrentino, Pupi Avati e Gianni Amelio. Ho lavorato solo con Avati in due film. Anche Luca Miniero con cui ho fatto La scuola più bella del mondo e 3 pubblicità. E i miei Carlo Vanzina e Neri Parenti che ormai sono dei parenti: con uno ho fatto venti film, con l’altro trenta, siamo fratelli che dice?»
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