Enrico Vanzina a “Storie”: la vita è come un film,  io ho “pedinato” gli italiani 

«Recentemente ho fatto una passeggiata con Carlo Verdone e, alla fine, ci siamo detti: ma che abbiamo fatto in questa vita? Abbiamo pedinato gli italiani». Enrico Vanzina è un osservatore speciale...

«Recentemente ho fatto una passeggiata con Carlo Verdone e, alla fine, ci siamo detti: ma che abbiamo fatto in questa vita? Abbiamo pedinato gli italiani». Enrico Vanzina è un osservatore speciale delle vite e dei comportamenti degli italiani: «E io gli italiani li ho sempre amati, nei loro pregi e soprattutto nei loro difetti». Nella sua carriera lunga 120 film ha raccontato i vizi e le virtù della società, le mode che cambiano, i vecchi tempi e i nuovi. È Vanzina l’ospite della puntata di “Storie - Le Emozioni della Vita”, il programma di Rete8 in collaborazione con il Centro che va in onda questa sera alle ore 21 con la regia di Antonio D’Ottavio. «Io mi sento come Benjamin Button», assicura Vanzina, sceneggiatore, produttore cinematografico e televisivo, regista e scrittore, «sono nato vecchissimo e ora mi sento sempre più giovane».
«La vita è un film», dice Vanzina e non potrebbe essere altrimenti, «un film in cui noi ci avventuriamo, spesso senza esserne nemmeno i protagonisti perché, alla fine, il destino è più forte di noi: la vita bisogna assecondarla e quando arrivano i momenti difficili non serve a niente negarli, dobbiamo accettarli. La vita, lo diceva Frank Capra, è una cosa meravigliosa. È un dono che non va sprecato e lo dico da credente».
Figlio del grande regista Steno, Vanzina è uno dei fondatori della commedia italiana: negli ultimi quarant’anni, insieme al fratello Carlo, ha firmato i grandi successi al botteghino: “Febbre da cavallo”, “Sapore di mare”, “Eccezziunale veramente”. Una carriera, cominciata come pianista di piano bar con una laurea in Scienze politiche e poi arrivata a 120 film. In questi primi giorni di ottobre, con il colpo di coda di un’estate che si allunga sull’autunno, torna in mente “Sapore di mare”, con quel finale un po’ malinconico: «Quel film», riflette Vanzina, «è un piccolo romanzo di formazione in cui si raccontano come comincia e come finisce un’amicizia, come nasce un amore e come si guasta, l’attesa tra lo scrivere una lettera e l’arrivo della risposta. Noi ragazzi degli anni Sessanta abbiamo vissuto in un mondo straordinario con una grande speranza verso il futuro. C’erano le regole e contava il merito: oggi tutto questo è svanito. Io e tutti quelli della mia generazione abbiamo affrontato la vita in maniera allegra mentre oggi è un po’ pesante». Quel film culto, che passa ancora in tv nelle sere d’estate, «è stato un caso», dice Vanzina, «in quel film io e mio fratello Carlo abbiamo voluto raccontare un’estate della nostra adolescenza anche se all’inizio i produttori non erano affatto convinti. Ma noi pensavamo che un film vero fosse il meglio. È un film in cui l’umorismo si mescola ai sentimenti con un finale un po’ amaro ed è stata la ricetta giusta. Cosa penso quando vedo “Sapore di mare” ancora in televisione? Sono distaccato: io dico che i film sono giudicati dal tempo perché è il tempo che piazza i film nel posto in cui devono stare. E i miei passano ancora in prima serata».
Vanzina ha collaborato con il Corriere della Sera ed è editorialista del Messaggero; tra i riconoscimenti, ha vinto il Premio Flaiano, a Pescara, e il Premio Biagio Agnes. Il suo nuovo libro si chiama “Diario diurno” in cui racconta 11 anni di Italia attraverso gioie, dolori e «attimi insignificanti ma solo all’apparenza insignificanti che sono i momenti veri della vita: un bambino che corre, un anziano che sorride. Quelli che racconto sono stati 11 anni complicati, in cui purtroppo sono morti tanti miei amici. I prossimi 11 anni? Io, come Benjamin Button, sarò ancora più giovane».