“Happy Days”: 50 anni fa nasceva l’iconica serie dalle radici abruzzesi 

L’idea fu del regista e autore Garry Marshall, nato Masciarelli, originario di San Martino sulla Marrucina Dal mitico telefilm di successo mondiale nacquero opere omaggio come “Friends” e “Pulp fiction”

ROMA. Era il 15 gennaio 1974, un martedì, quando sul network Usa Abc debuttò quella che sarebbe diventata una delle sitcom più iconiche della storia della tv, Happy days, creata da Garry Marshall, nato Masciarelli in una famiglia originaria di San Martino sulla Marrucina, in provincia di Chieti.
Un viaggio indietro nel tempo durato undici stagioni (dal gennaio 1974 al 24 settembre 1984 per 255 puntate) nell'apparente mondo perfetto, filtrato da tanto humour, buoni sentimenti e colori pastello e dalla nostalgia di una Milwaukee tra gli anni ’50 e ’60, tra ricordi e sogni. Il cast comprendeva Ron Howard (poi regista e produttore da Oscar), interprete del bravo ragazzo protagonista Richie Cunningham, e Henry Winkler nei panni del mitico Fonzie; poi Marion Ross (la signora Cunningham), Tom Bosley (il signor Cunningham), Erin Moran (Joanie), Anson Williams (Potsie), Don Most (Ralph) e Scott Baio (Chachi).
Al centro delle storie (sbarcate in Italia solo nel dicembre 1977 su Rai1), una famiglia serena e unita, i Cunningham, dove i contrasti durano il tempo di una puntata. Il “ribelle” in giacca di pelle con ciuffo alla Elvis, è simpatico e rassicurante: Arthur Fonzarelli detto Fonzie, diventato un idolo popolare con il suo fascino cool e i suoi “hey” a pollici alzati. Poi uno stuolo di amici allegri e fedeli guidato da Ralph e Potsie, che si riuniscono nel mitico locale Arnold’s. Nel corso delle puntate, incontri sorprendenti, come quello con l’irresistibile alieno Mork: un giovanissimo Robin Williams, che conquistò tanto il pubblico da far nascere una serie a parte. Come nacque una costola, Laverne e Shirley anche dal personaggio interpretato da un’altra abruzzese, Penny Marshall, sorella di Garry e anche lei regista e autrice di successo, nominata all’Oscar e vincitrice a Pescara di un Premio Flaiano.
Dopo una falsa partenza con un primo pilot del 1972, che Marshall pensava di chiamare Cool ma che non aveva convinto la Abc, quella del 1974 è la volta buona. Il successo c'è da subito e cresce in modo esponenziale, fino a portare la sitcom a diventare in pochissimo tempo un fenomeno mondiale, da poco celebrato anche dall'uscita in Italia del primo libro enciclopedico E la nostra storia - Tutto il mondo di Happy Days (Edizioni Minerva), firmato da Emilio Targia e Giuseppe Ganelli.
«Happy days è stato per me la quintessenza del successo televisivo», ha raccontato nella sua autobiografia, Garry Marshall, attore, autore, regista e produttore, scomparso nel 2016, autore anche di spin-off nati dalla costola di Happy days come, appunto, Mork e Mindy, Laverne e Shirley e Jenny e Chachi, oltre che firma di pregio di film, commedie e dramedy, dal celeberrimo Pretty Woman a Paura d'amare. Con quella serie, diceva ancora, «volevo raccontare storie di giovani, ma il nostro Paese era ancora in guerra. Come potevo creare una commedia sugli adolescenti con il Vietnam come sfondo? Decisi di andare in una direzione completamente diversa. Sono tornato agli anni Cinquanta, un’epoca che, almeno nella mia vita e nella mia mente, era molto meno complicata e politicamente più disimpegnata». Il fatto che Happy Days «aiutasse a viaggiare in un'altra epoca ha catturato immediatamente l'attenzione della gente. Le persone negli anni Settanta sembravano più felici del passato che del presente o del futuro».
Un mondo quello della serie, tanto amato, studiato, omaggiato, imitato e pluricitato, a partire da Friends, considerato da molti l'erede in spirito di Happy Days, a Pulp fiction, il film cult di un altro italo-americano, Quentin Tarantino. Senza dimenticare le critiche, mai mancate, che in Italia hanno avuto tra i protagonisti pure Nanni Moretti, con i suoi strali, nel film Aprile, contro una generazione di giovani di sinistra cresciuti vedendo Happy days. Al regista aveva risposto a distanza addirittura Henry Winkler, in un'intervista su Chi: «Happy days mostra una certa America, che può non piacere a certa sinistra, ma è tutt'altro che qualunquista», aveva detto l'attore, «Forse Moretti non sa nemmeno che alle convention di Happy days si manifestava contro la segregazione degli afro-americani e si facevano campagne a favore dei portatori di handicap». Senza dimenticare, aveva aggiunto l’indimenticato Fonzie, che «dopo l'episodio ambientato col mio personaggio in una biblioteca, il numero dei frequentatori giovani nelle biblioteche americane crebbe del 500%».
Un tale successo tuttavia ha portato a un’esposizione particolarmente ricca di insidie per Erin Moran, volto dai 14 anni fino a metà dei venti tra la serie principale e gli spin-off, della “piccolina” di casa Cunningham, Joanie: dopo aver avuto per anni problemi di dipendenze e di natura economica, è morta prematuramente a soli 56 anni nel 2017 per un tumore.
C'è però anche chi con l'immagine ferma nel tempo di Happy days si è riconciliato, come Ron Howard: «C’è stato un periodo in cui mi sono sentito minacciato dal suo successo», ha spiegato recentemente il regista al quotidiano inglese The Guardian. «Ma, negli ultimi anni, ho imparato ad apprezzare il mio posto unico nella cultura pop».
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