L’Aquila oggi, anima dispersa

Un reportage sull’Espresso in edicola oggi sulla vita quotidiana nella città

PESCARA. «L’Aquila oggi, anima dispersa» è il titolo del reportage pubblicato nel numero dell’Espresso, diretto da Luigi Vicinanza, in edicola da oggi, dedicato al capoluogo a sei anni dal terremoto del 6 aprile 2009. Il servizio è composto da un articolo di Caterina Serra e dalle foto di Giovanni Cocco. Ecco un estratto del testo.

«Cammino per la città di notte. L’Aquila è più buia delle sue montagne. Forse il silenzio compensa una mancanza di pudore. Vedo attraverso le fessure di muri spaccati, di travi e ponteggi, di porte tenute insieme da catene e lucchetti come se l’abbandono l’avessero chiuso dentro. Insieme a quel tipo di memoria dolorosa che nessuno vuole portare con sé. Come la propria faccia nelle foto appese che mi viene voglia di staccare dal muro, e conservare. C’è qualcosa di attraente, una specie di bellezza oscena che ricorda l’assurdo della vita. Mi trovo davanti a un tavolo apparecchiato, a un letto con l’impronta sul cuscino, a bicchieri da lavare, quando entro nelle case, invadendo spazi di intimità già violata dalla forza della terra, e dal tempo. Penso a cosa sia una casa. A cosa la renda unica. «Mi manchi da morire, casa»: un uomo mi fa notare la scritta tra due fnestre puntellate. Forse vendo e me ne vado, mi dice guardandomi come se mi volesse testimone della sua decisione. Continuano a dirmi che manca poco, che sono arrivati i soldi, che la casa adesso la rimettono a posto. Intanto giro per le strade che mi ricordano da dove vengo. Non voglio che mi tolgano la città da sotto i piedi.

Se non ci cammino ogni giorno, c’è il rischio che mi faccia paura tornarci. Un senso di sospensione, e di attesa. L’Aquila di notte è ferma a quella notte. Anche i discorsi sono fermi a quella notte. E sono passati sei anni. Dalla propaganda della politica come intervento spettacolare, qualcuno qui lo chiama l’inganno della politica. Perfno il modo di camminare della gente sembra risentire di quella notte. E di sei anni passati fuori dalla città, fuori dalle case, fuori dalla vita di prima. Camminano lenti, con gli occhi puntati in alto, cercando di ritrovare i segni del loro passaggio. Seguo la luce di qualche lampione, e il sentiero delle lucette rosse delle impalcature, accese come lumini in una chiesa in segno di preghiera. Sento una musica. C’è qualcuno in fondo alla strada».

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