il libro

Le figure femminili del Vate e la crisi dell’uomo-padrone

Nel saggio lo “scontro” tra l’eroe decadente e le emancipate protagoniste dei suoi romanzi

Moglie e amante, sorella e nemica, intellettuale e seduttrice: il volto multiforme delle donne di Gabriele D'Annunzio è protagonista di un gioco dove la vita del Vate, nell'Italia dei primi due decenni del '900, si alterna e si confonde con il plot letterario del “Ciclo della rosa”, la trilogia di romanzi dello scrittore pescarese composta da “Il piacere”, “L'innocente” e “Il trionfo della morte”. Al “Ciclo della Rosa”, Iacopo Milana ha dedicato il suo libro “D'Annunzio e le Donne della Rosa”, pubblicato il 19 gennaio da Mimesis (pp. 136, € 12) con introduzione di Cinzia Baldazzi. L'autore traccia la fisionomia di un eroe decadente, esteta e superuomo, manovratore di figure femminili ma da loro dipendente, artefice nell'arte della centralità della creatura-donna e tuttavia, nell'esistenza quotidiana, partner sbrigativo fino alla crudeltà. Il saggio prende le mosse dalle due donne che hanno segnato l'esistenza del poeta: la bellissima Barbara Leoni e la divina Eleonora Duse, tra corteggiamenti e abbandoni, lettere d'amore e tradimenti. In parallelo, il diagramma romanzesco, intrecciato e alternato tra vita reale e letteratura, traccia fedelmente una crescita innegabile della donna nella società del tempo: le sue eroine sono indipendenti, avversarie delle certezze maschili, pronte al cambiamento epocale annunciato dalla nascita della cultura di massa. Milana si addentra così nell'analisi delle figure femminili protagoniste dei romanzi: Elena Muti e Maria Ferres de “Il piacere”, Giulia Hermil de “L'innocente”, Ippolita Sanzio de “Il trionfo della morte”. Pubblichiamo uno stralcio del primo capitolo del saggio.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento, con il progressivo sviluppo di una società di massa omologante e spersonalizzante, l'uomo, in quanto maschio, sembra entrare in crisi. La crisi di un individuo forte, virile, sicuro, capace di costruirsi il proprio mondo e dominarlo, si riflette in letteratura con il moltiplicarsi di personaggi deboli, insicuri, inetti e sconfitti. L'uomo, in crisi di identità, avverte nella donna la riprova di questa debolezza, di tale inadeguatezza alla realtà; da qui nasce quel senso di paura che, all'interno del campo letterario, darà vita a nuove figure femminili. Inoltre, con lo sviluppo della modernità prende avvio il processo di emancipazione femminile: la donna appare, quindi, all'immaginario maschile, come una nemica pericolosa, la quale minaccia le basi tradizionali del potere e del privilegio maschile. Si attua così un conflitto tra questa creatura e l'uomo.

Nell'opera dannunziana e nella vita stessa dell'autore ricorrono, con ossessiva frequenza, figure di donne fatali e distruttrici, che in questo clima di cambiamenti si fanno, agli occhi dell'autore, simbolo della donna perfetta e dell’amante desiderabile. I personaggi femminili, in questo caso nella Trilogia dei Romanzi della Rosa, ovvero “Il Piacere”, “L'innocente” e “Il Trionfo della Morte”, sono trasformati a seconda dell'uso creativo che D'Annunzio si trova a farne: dalla donna delicata a quella fatale, da quella violenta a quella vendicatrice. Essa assume un livello mitico, storico e simbolico: come donna-soggetto o, allo stesso tempo, come donna-oggetto. A tal proposito, l'uomo-padre-marito-padrone-signore della donna-cosa sarà l'aspetto oppressivo, contro cui la donna dovrà combattere per far emergere la sua indipendenza, la sua diversità e, soprattutto, la sua libertà.

D'Annunzio “si serve” delle figure femminili perché, proprio nella loro diversità e nel loro progressivo emergere all’interno della società, riconosce e apprezza l’agire istintivo e ricco di una carica vitale non ancora consumata e, forse, mai utilizzata, quindi pura.

È proprio attraverso queste figure che si può attuare la sua idea di condanna e denuncia verso la società ipocrita e materialistica, dove i valori morali sono volgarizzati e dimenticati. Le eroine di D'Annunzio si nutrono dell'uomo, del suo amore e del suo corpo; la donna rappresenta simbolicamente un conflitto interno all'Io maschile, tra volontà di affermazione e senso di impotenza. Quindi, la donna diventa un individuo superiore; l'uomo è debole, fragile, sottomesso, e viene “dominato” da essa. Il personaggio-donna, che emerge dalle opere del Vate, è un simbolo-segno degli occhi, che guardano verso la libertà da ri-conquistare, a ogni costo. Una libertà da sempre negata, a causa di una società tendente a schiacciare, a escludere e a sopprimere le diversità. D'Annunzio, a fine secolo, riscatta la figura della donna e la sua possibile ascesa nella società, non nascondendo, quindi, il suo interesse per la questione femminile. Tutto ciò è accentuato dal fatto che la trilogia sia stata battezzata sotto il segno della regina dei fiori: la rosa, simbolo dell'amore ardente e sincero.

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