Miró, creatore di sogni: una grande antologica da settembre a Roma 

La mostra al Museo Storico della Fanteria fino a febbraio 2025 Esposte 150 opere, tra ceramiche, litografie, sculture e dipinti

ROMA. La gioia di vivere e la libertà di esprimersi senza sottostare a correnti e movimenti, lo sguardo di uno spirito onnivoro impegnato a sperimentare in continuazione intrecciando sfera onirica e astrazione, impronta primordiale e segno moderno. Tratteggia un vicenda artistica che ha attraversato il Novecento la grande antologica dedicata a Joan Miró (1893-1983) in arrivo a Roma, nel Museo Storico della Fanteria, dal 14 settembre al 23 febbraio con centocinquanta opere realizzate tra il 1924 e il 1981 dal pittore catalano: opere poco conosciute, provenienti da collezionisti privati italiani e francesi.
Miró, costruttore di sogni, curata da Achille Bonito Oliva, Maïthé Vallès-Bled e Vincenzo Sanfo, descrive passioni e rapporti con la scena culturale del suo tempo, sviluppandosi in otto sezioni: Litografie, Manifesti, Poesia, Ceramiche, Derrière le miroir, Pittura, Musica e infine Miró e i suoi amici, in cui sono esposte anche una decina di opere di Man Ray, Picasso, Dalí, oltre a fotografie di Cohen e Bertrand e libri e documenti dei poeti Breton, Éluard, Chair, Tzara.
Ultima tappa di un tour che ha toccato Torino, Trieste e Catania, la mostra di Roma si arricchisce di una sezione dedicata alle sculture, pagina meno conosciuta della sua produzione.
«Senza paragonarlo a Picasso e a Dalì, penso che Miró sia un grande artista», ha detto Achille Bonito Oliva parlandone nella sede dell'ambasciata di Spagna in Italia. «Apre un nuovo universo e sposta lo sguardo dalla vista alla visione. La sua pittura è un viaggio continuo, lo spazio non è mai immobile, ma va oltre la prospettiva. È un artista in movimento, nomade, come la vita. Apre lo spazio ai fantasmi della mente, è questo il suo rapporto con il surrealismo».
Miró, suggeriscono i curatori, ha rivoluzionato il linguaggio artistico, portandolo «da spazio introspettivo a un equilibrio tra astratto e figurativo, tale da realizzare un principio di impossibilità, in cui l'arte supera ogni tipo di confine». La sua arte compie un giro a 360° sulla storia della creatività e accoglie nel proprio bagaglio il linguaggio animistico dell'arte primitiva, osserva Bonito Oliva nel catalogo, introducendo nel tessuto espressivo «modalità ulteriori capaci di dare energia nuova ad un apparato e un alfabeto ormai logorato».
Per Vincenzo Sanfo «ciò che colpisce in Miró è lo sfavillare dello sguardo, il sorriso pacato e sereno che accompagna tutte le sue immagini e che ci fa intuire che, dietro quello sguardo, vi sia una qualche stanza segreta, un mondo tutto suo che si intuisce sereno e gioioso. Ed è qui il segreto del grande successo di Miró, quello di saper comunicare, con i suoi dipinti, quella gioia di vivere che spesso abbiamo perduto». Miró, aggiunge, con i suoi colori, il segno forte e deciso, a volte primitivo nell’apparente semplicità, «aggredisce lo sguardo, lo catalizza, facendoci sprofondare in un universo infantile che, anche se sepolto nelle profondità del nostro io, è comunque dentro di noi». L'artista raramente eseguiva disegni preparatori per le sue opere, «avendo, nella sua mente, una capacità di concentrazione e di esplicazione rapida, immediata, in grado di far scaturire da una semplice macchia, da un minuscolo segno, i capolavori che conosciamo. Trae ispirazione non dall'inconscio, ma dalla straordinaria capacità di astrazione dal mondo del reale».
Miró, dunque, artista indipendente e libero e proprio in questo cammino di libertà, sottolinea la co-curatrice Maithé Valles-Bled, si esprimono le sue posizioni politiche con opere fortemente evocative delle tragedie del suo tempo. «Già nell'estate del 1936, quando i repubblicani spagnoli insorgono contro i generali putschisti, i dipinti su masonite preannunciano gli anni bui a venire. Allo stesso modo, dall'estate del 1939, nelle sue tele si percepisce l'imminenza della guerra in Europa. Circa trent'anni dopo, non rimarrà in silenzio di fronte agli sconvolgimenti del maggio 1968. Le sue posizioni erano espresse nel silenzio delle parole, ma nella straordinaria potenza della forma».
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