TEATRO
Pif sul palco a Pescara: «Che colpo alla mafia, è un giorno bellissimo»
Il regista e attore palermitano racconta il suo spettacolo, intanto esulta per l’arresto del boss Messina Denaro
PESCARA. «Oggi è un grandissimo giorno, hanno arrestato Matteo Messina Denaro». È la prima cosa che dice al telefono Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, rispondendo al Centro a metà mattina di ieri. La notizia dell’arresto del sanguinario boss mafioso latitante da tre decenni è appena stata battuta dalle agenzie e il siciliano Pif, che tante volte ha raccontato la mafia, è elettrizzato. «Sono molto stanco perché si sono accavallati diversi lavori e sono in ritardo al montaggio, ma l’arresto di Messina Denaro mi ha “dopato”, mi ha dato energia vitale. È un giorno meraviglioso, lo Stato ha fatto lo Stato. Sono sicuro che questo arresto sia frutto dell’abilità investigativa dei Carabinieri e non di qualche soffiata».
Da figlio della Sicilia onesta e laboriosa il 50enne attore, regista, scrittore, autore e conduttore radiofonico e televisivo è felice dell’operazione e la sua gioia apre questa intervista, legata al suo arrivo a Pescara, il 4 e 5 febbraio al Massimo, insieme a Francesco Piccolo col reading “Momenti di trascurabile (In)felicità”, dai libri dello scrittore romano.
Pif, il suo con Piccolo è un incontro in scena che parte da lontano, arricchito ora da un nuovo capitolo. Come si svolge lo spettacolo?
Inizialmente la lettura la faceva solo Francesco Piccolo, poi mi proposero di essere ospite. Alla fine sono tre anni che andiamo in giro insieme per l’Italia. Sul palco ci alterniamo nelle letture, ma i momenti più personali vengono letti da Francesco.
Il pubblico si riconosce in quel che leggete?
Tutti hanno i loro piccoli momenti di felicità e infelicità in mezzo ai grandi accadimenti della vita, che è fatta di questa alternanza. Per questo motivo il pubblico si riconosce moltissimo, a tutti viene in mente un episodio vissuto, che magari non aveva colto. A fine spettacolo scendo tra gli spettatori e chiedo quali siano stati i loro momenti, alcuni lo dicono, altri no, si vergognano, e poi magari te lo raccontano quando vengono a salutarti in camerino.
In questo 2023 sono dieci anni da “La mafia uccide solo d’estate”. In quel primo film da regista e attore ha utilizzato l’arma dell’ironia. Com’è arrivato a elaborare questo registro “leggero” per raccontare una tragedia? Si è posto un dilemma morale?
Quel tipo di linguaggio un po’ già c’era all’epoca di quel primo film, ora è ormai un linguaggio sdoganato e metabolizzato. Diciamo che mi facevo forte dell’esempio delle barzellette sugli ebrei, che un non ebreo è in difficoltà a raccontare mentre gli ebrei si sentono liberi di scherzare e giocare sul loro stesso popolo. Ecco, essendo io palermitano sono più legittimato a usare l’ironia anche su un tema come la mafia. Un margine di rischio di non essere capito c’era, ma alla fine anche i parenti delle vittime di mafia non si sono offesi e hanno anzi compreso il senso dell’operazione.
Fa molti incontri nelle scuole, è cambiata nelle nuove generazioni la percezione del fenomeno mafioso?
Un ragazzino di oggi vive la presenza della mafia diversamente da come la vivevo io da bambino. Vedo che c’è meno rassegnazione. Il fatto però che la mafia abbia scelto di tornare a inabissarsi, cioè l'opposto della strategia di Totò Riina delle bombe, delle stragi, dei sequestri e delle uccisioni per strada, non deve far credere alle nuove generazioni che la mafia non ci sia più. Sarebbe molto pericoloso, perché il vero potere della mafia è scomparire per agire meglio nel silenzio. Con Riina omicidi e attentati hanno in realtà mostrato la debolezza di Cosa nostra, una strategia fallimentare perché ha costretto lo Stato, anche se colluso, a intervenire, con la conseguenza che tutti i capi sono finiti in carcere o uccisi. E quello che è successo oggi (ieri) con l’arresto di Messina Denaro è la conferma che quella strategia era perdente.
Il protagonista di “La mafia uccide solo d’estate” si chiama Arturo Giammarresi, come i protagonisti degli altri due suoi film, “In guerra per amore” e “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”. Arturo è il suo alter ego, un po’ come Antoine Doinel per Truffaut?
Non vorrei montarmi la testa (ride). In realtà tutto era cominciato come un gioco nel primo film, poi continuato negli altri due film e nei libri, “... che Dio perdona a tutti” e “La disperata ricerca d'amore di un povero idiota”. Sì, in qualche modo Arturo è diventato il mio alter ego.
In questo terzo libro e secondo romanzo “La disperata ricerca d'amore di un povero idiota” Arturo è alla ricerca delle sette anime gemelle scelte per lui da un nuovo algoritmo. Tutte le nostre scelte, non solo per un film o una serie su una piattaforma, finiranno per essere determinate da un algoritmo?
È già in atto questa cosa, ma noi non lo sappiamo. Non sono contro la tecnologia, può migliorare la vita se è al servizio delle persone. Ma oggi siamo noi che andiamo appresso all’algoritmo e non il contrario come doveva essere all’inizio. È diventato uno strumento contro l’umanità e non a favore. Può sembrare che io faccia questo discorso in quanto autore, ma ci sono altre applicazione degli algoritmi molto più pericolose che influenzano le nostre scelte in azioni più cruciali della scelta di un film.