Lo scrittore Fabio Bacà

L'INTERVISTA / FABIO BACA'

«Stiamo imparando il rispetto degli altri e questo ci aiuterà»

L’autore albense rivelazione dell’anno 2019: «Vivo recluso, senza internet e scrivo tanto»

Miglior esordiente dell’anno 2019 il giudizio espresso dall’incontentabile Antonio D’Orrico nella rubrica del critico su Sette – per Wikipedia «la più discussa, discutibile, indiscussa e indiscutibile rubrica letteraria italiana» – su Fabio Bacà, 48 anni, di Alba Adriatica, che ora “approfitta” della quarantena per «scrivere, scrivere, scrivere» – caso più unico che raro tra gli scrittori, in gran parte vittima, per loro ammissione, del «blocco da lockdown» – e dare quanto prima alle stampe la sua seconda prova d’autore dopo il fulminante debutto dunque, quel “Benevolenza cosmica” pubblicato dalla prestigiosa e raffinata Adelphi. E complice la drammaticità del momento forse, Bacà racconta al Centro di aver scelto una cifra diversa per il nuovo lavoro in fieri rispetto al precedente, distante da quella ironia che fa da testo e sottotesto alla storia di Kurt O'Reilly , il protagonista di “Benevolenza cosmica” perseguitato da una fortuna sfacciata, una macchinazione verrà fuori, perché la macchinazione è questo singolare, trascinante, divertentissimo romanzo.

Bacà dove sta vivendo l’isolamento?

Da novembre scorso mi sono trasferito a San Benedetto del Tronto, al confine con Grottammare, con la mia compagna. Sì (ride) alla mia bella età ho lasciato la casa della mia famiglia d’origine ad Alba Adriatica e sono andatoconvivere. Ma resto abruzzese sia chiaro, sì perché ora negli articoli e interviste vengo considerato marchigiano, ma io mi sento abruzzese e correggo tutti, anche in diretta, perché mi ci sento.

E cosa vuol dire per lei sentirsi abruzzese?

Intanto i miei genitori lo sono, e sono le mie radici. E anche se sono nato sulla costa, dove la contaminazione con turisti di ogni parte del mondo è più antica e frequente che sulle nostre montagne, il mio Abruzzo è sempre pieno di guai – guarda l’ultimo decennio tra terremoti, valanghe, alluvioni – e io per indole mi lego a chi sta peggio.

Dunque una quarantena in coppia.

La mia compagna lavora come ingegnere alla Mag e ora è in smart working, ma noi non abbiamo la connessione internet così lei va dai suoi a pochi metri da qui a lavorare e per la gran parte della giornata sono solo.

Non ha internet? Una scelta singolare in questo secolo e soprattutto in questo momento. Da dove viene?

Era necessario. Mi spiego: io sono un pigro, tendo a distrarmi e se sto al computer io devo scrivere, se accedo invece a tutto un mondo sono fregato, mi perdo... Sono costretto a disciplinarmi. Ho esordito come scrittore a 47 anni non a caso. Prima mi sono rilassato il più possibile. Certo ho lavorato, ho fatto anche il bagnino, e sono insegnante di ginnastica dolce. Ma al mio sogno, essere uno scrittore, ho dato tempo per realizzarsi. Poi mi sono detto: adesso o mai più. E mi sono dato delle regole ferree.

Che l’hanno portata a pubblicare con Adelphi...

Sì, incredibile. La mia agente, che ho trovato nel 2018, ha avuto un sì dal primo editore cui ha proposto Benevolenza, e sono il suo fiore all’occhiello.

E sono seguite critiche positive...

Sono fortunato. Io sono un po’ agnostico, ma ora ringrazio tutte le divinità per quel che mi è accaduto.

Torniamo alla quarantena. Come occupa il tempo?

Ripeto: sono fortunato. A parte la tristezza profonda di questo momento, la scìa di lutti e incertezze che vivo come tutti, io ero in ritardo con la scrittura del secondo libro e invece ora in “reclusione” ho accelerato tanto. Scrivo per ore e ore. Volevo finire a settembre, invece nel complesso sono a buon punto. Sto facendo la vita che avevo preconizzato avrei fatto questa estate, quando avessi interrotto i corsi di ginnastica dolce, invece ecco questo tempo regalato.

Di che parla il nuovo libro?

Posso dire che ho lasciato l’ambientazione londinese del primo e siamo in Italia. Il protagonista è un neurologo mite, un buono che comincia a chiedersi se il suo atteggiamento contro la violenza sia quello giusto, perché gli capitano cose difficili da affrontare. Conservo la cifra ironica, ma meno che in Benevolenza. È una scelta che ho fatto dopo essere stato definito “autore comico”. Io non sono e non voglio essere incasellato. Insomma Don DeLillo è il mio mito: in romanzi spassosi, come Rumore bianco, Underworld e Running Dog riesce a passare da un tono all’altro con facilità. Un grande.

Un isolamento fruttuoso dunque. O le manca qualcosa?

Certo che mi manca qualcosa. La socialità per esempio, che “prima” avevo molto. I miei amici, le cene, le chiacchierate. E i miei genitori mi mancano: io sono “uscito di casa tardi”, stavo conmamma Gabriella e papà Giuseppe, e ci stavo bene.

Dedica qualche ora alla lettura?

Io sono stato un bambino asmatico, potevo correre poco diciamo e dunque leggevo sempre. Mamma racconta che quando da piccolo non mi trovava più di certo ero in qualche angolo a leggere: Pinocchio, David Copperfield, Huckleberry Finn... Era il mio altrove, il mio gioco, il cibo per la mia fantasia. E lo è ancora.

Un consiglio?

Un classico. A me La versione di Barney di Mordecai Richler mi cambiato la vita.

Come uscirà l’Italia da questa pandemia?

Mi viene in mente che quello che ci aiuterà a uscire è quello che abbiamo dimostrato: il senso della disciplina. Io sono un indisciplinato, l’ho detto. Ma ora no. 15mila multe per inosservanza delle regole non sono niente: siamo milioni che le rispettano. Non sono un patriottico, l’Italia ha tanto da farsi perdonare. Ma sono piacevolmente stupito ora dagli italiani. E questo ci aiuterà anche in futuro, il rispetto degli altri ci aiuterà.

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