Ciampi
"Abruzzo, le montagne occasione di turismo"
I consigli del presidente emerito: migliorare infrastrutture e senso di accoglienza
ROCCA DI MEZZO. «L’Abruzzo ha un grande patrimonio, che è al tempo stesso un’opportunità per il suo futuro e sono le sue montagne: straordinariamente belle. L’Abruzzo interno ha un’enorme potenzialità turistica. Si è fatto molto in questi anni, sull’idea dello sviluppo legato alle vacanze. Ma occorre che ci sia più convinzione. Deve diventare un progetto organico che veda il convinto contributo delle popolazioni».
Nella sua Rocca di Mezzo, il presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi si gode dei giorni di riposo. Ciampi, livornese, è abruzzese due volte. E’ cittadino onorario di due centri della montagna abruzzese, Rocca di Mezzo che frequenta dagli anni ’70, dove ha anche casa. E Scanno, dove da giovane sottufficiale dell’esercito, dopo l’otto settembre del 1943 trovò rifugio e ospitalità. Un legame fortissimo quello dell’ex capo dello Stato e l’Abruzzo. Al punto che, durante il suo settennato al Quirinale, per ben quattro volte è venuto in Abruzzo in visite ufficiali. Mentre da capo del governo, a Scanno durante l’inaugurazione della seggiovia, pronunciò un discorso storico sulle prospettive dell’Italia e l’ingresso nel primo gruppo di Paesi che avrebbero adottato l’euro come moneta.
Il presidente conosce bene luoghi e persone. Da qui il suo esortare gli abruzzesi e i loro governanti a fare di più per l’economia del turismo per le aree interne. Presidente lei crede che il turismo montano abruzzese, in estate come in inverno, possa fare il salto di qualità?
«La potenzialità per diventare località importanti, quanto quelle delle Alpi, ci sono tutte. Il paesaggio e la natura qui sono stupendi. E non hanno nulla da invidiare alle altre più conosciute. La vicinanza di bacini importanti come quello di Roma, per la parte della montagna del Gran Sasso, e di Napoli, per quanto riguarda la montagna intorno alla Maiella, rappresenta una straordinaria opportunità. Basta considerare quale occasione è per i romani hanno la possibilità di trovare, a solo un’ora e mezza d’auto, un’aria così pulita, boschi e luoghi dove ristorarsi godendo del fresco naturale dei 1300 metri. Non è una cosa da poco. Oggi Rocca di Mezzo è piena da romani e baresi ma si può e si deve fare di più».
Lei quale limite vede per un affermazione a pieno del turismo volano dell’economia montana.
«Insisto sul ruolo del convincimento e coinvolgimento delle popolazioni in questo processo. Nei rocchigiani, ho potuto costatare, che non è ancora ben nutrito lo spirito d’ospitalità. Se posso dare un consiglio, inviterei ai residenti di curare di più il rapporto con il villeggiante. La gente di montagna è sempre un po’ chiusa. Ma oggi questa è una mentalità da superare. L’aspetto turistico della vita economica dei nostri centri montani è fondamentale. Vale per Rocca di Mezzo come per Roccaraso, Scanno, Pescasseroli. Sono centri turistici che si prestano ad avere una doppia stagione. E contendere un parte della clientela che dal Centro Sud si sposta per andare sulle Alpi».
Maggiore cura. Attenzione ai dettagli. Migliorare la cultura dell’ospitalità. E’ questa la sua ricetta?
«Vede, consentire a dei genitori di venire qua e trovare dei bei posti con prati e curati dove poter far giocare i propri figli. Oppure alle persone di fare delle passeggiate nella natura e trovare un angolo dove sedersi a leggere un libro o parlare. O ancora trovare aree attrezzate con bracieri per una scampagnata è importante. Molte cose sono state fatte, ma oggi più che mai occorre fare di più».
Oltre all’impegno dei residenti è necessario anche quello delle istituzioni. Servono infrastrutture nuove, alcune da migliorare. Strade e quant’altro.
«Certo, adeguare o realizzare infrastrutture per sostenere il pieno sviluppo turistico è necessario. Ma ogni intervento deve essere pensato e realizzato nel rispetto anche dell’ambiente e della natura che qui è molto generosa. Ad esempio, qui a Rocca di Mezzo, la realizzazione della galleria di circa un chilometro che avvicina al collegamento dell’autostrada è un’opera che deve essere fatta. Il sindaco, Emilio Nusca, si sta muovendo ed ha idee e progetti interessanti. Questo è un tipo di opera che potrà aiutare Rocca di Mezzo a diventare sempre più il punto di riferimento dei romani per la montagna, perché accorcia i tempi. Con un’ora si passa dalla città a una montagna dalla natura selvaggia».
L’estate 2007 passerà alla storia come l’estate degli incendi. Anche in Abruzzo le fiamme hanno distrutto una parte del patrimonio naturale della Regione. Arrivando fino alle porte dell’Aquila.
«La cosa che mi ha colpito di più, negativamente è quella degli spari contro i mezzi aerei della protezione civile che lavorano a fermare il fuoco. E’ una cosa che trovo vergognosa e d’una inciviltà unica. Per questo credo che occorra una risposta forte. A queste persone che bruciano faggete o pinete, che non ci sarà speranza per loro. E siccome non sempre sono solo dei pazzi a dare fuoco, ma ci sono interessi, non basta più una legge che dica che nelle aree bruciate non si potrà costruire per dieci anni. Occorre dire invece che lì non potrà mai fare qualcosa. Che se c’era una faggeta, dopo la distruzione per opera delle fiamme, ci tornerà ad essere una faggeta. O una pineta. I piromani devono sapere che la loro azione è senza speranza. Per fortuna in Abruzzo, anche se grave, la situazione è migliore sotto questo punto di vista. Ho letto di volontari cittadini che si sono adoperati spontaneamente a salvare i boschi. A Navelli ad esempio. Questo è un segno importante. Che fa la differenza».
Nella sua vita l’Abruzzo ha avuto un ruolo non di poco conto. Cosa si sente di dire degli abruzzesi.
«Gli abruzzesi possono essere burberi, a volte rudi, ma sono gente onesta. Io non dimentico il gesto d’una donna in quell’inverno del 1943. Camminavo per le strade di Scanno, vestito come uno straccione. Una donna mi vide. E dalla finestra della sua casa mi fece segno di salire. Mi diede un tocco di pane e un pezzo di salsiccia. Una gesto che non potrò mai dimenticare. In quei momenti d’estrema difficoltà ebbi modo di sperimentare la generosità della gente d’Abruzzo, che, come hanno scritto gli studenti del liceo scientifico di Sulmona nel bel libro che hanno realizzato, “divisero con noi il pane che non c’era”».
“Il Sentiero della libertà” la via che i partigiani di Sulmona, comandati dai fratelli Autiero, utilizzavano per far passare le linee ai militari anglo-americani, scappati dal campo di concentramento di Fonte d’Amore nella Valle Peligna. Anche lei passò le linee in questo modo. Che ricordo ne ha?
«Intenso. Quando sono stato a Sulmona per inaugurare “Il Sentiero della libertà” con tutti quegli studenti, con il mio amico Carlo Autiero, beh quello è stato un momento importante per me e per il mio settennato. Come, sul piano personale, il ritorno a Scanno. Lì avevo trovato riparo dopo l’8 settembre del 1943, grazie all’aiuto dell’amico Nino Quaglione, dopo una rocambolesca fuga da Roma, appena occupata dai tedeschi, saltando giù dal treno alla stazione d’Anversa degli Abruzzi. E poi il viaggio su una vecchia corriera alimentata a legna, che non ce la faceva quando la strada diventava più ripida. A Scanno in quell’inverno del ’43 ritrovai Beniamino Sadum mio amico d’infanzia ebreo, che con la madre cercava di sfuggire ai rastrellamenti tedeschi e il mio maestro, docente della Normale, il professor Guido Calogero, confinato politico. Le giornate nascosti in una vecchia cisterna d’acqua dove la notte, spesso, andavamo a dormire insieme con altri ufficiali e carabinieri. La grande nevicata che ci isolò dal mondo. E poi la traversata drammatica sulla Maiella con i partigiani di Sulmona, tra il 23 e 24 marzo del 1944. La tormenta. E l’arrivo, passato il fronte, a Taranta Peligna, terra di nessuno. Dove venimmo “catturati” dai Gurka. Sono ricordi indelebili e commoventi. Prima ancora: nel 1942 ero stato a Pescara. Nella caserma Di Cocco, dove avevo fatto il corso sottufficiali. E proprio durante un’esercitazione d’autocolonna, attraversai la regione e conobbi la prima volta Scanno, arrivandoci in moto. Un segno del destino forse».
Nella sua Rocca di Mezzo, il presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi si gode dei giorni di riposo. Ciampi, livornese, è abruzzese due volte. E’ cittadino onorario di due centri della montagna abruzzese, Rocca di Mezzo che frequenta dagli anni ’70, dove ha anche casa. E Scanno, dove da giovane sottufficiale dell’esercito, dopo l’otto settembre del 1943 trovò rifugio e ospitalità. Un legame fortissimo quello dell’ex capo dello Stato e l’Abruzzo. Al punto che, durante il suo settennato al Quirinale, per ben quattro volte è venuto in Abruzzo in visite ufficiali. Mentre da capo del governo, a Scanno durante l’inaugurazione della seggiovia, pronunciò un discorso storico sulle prospettive dell’Italia e l’ingresso nel primo gruppo di Paesi che avrebbero adottato l’euro come moneta.
Il presidente conosce bene luoghi e persone. Da qui il suo esortare gli abruzzesi e i loro governanti a fare di più per l’economia del turismo per le aree interne. Presidente lei crede che il turismo montano abruzzese, in estate come in inverno, possa fare il salto di qualità?
«La potenzialità per diventare località importanti, quanto quelle delle Alpi, ci sono tutte. Il paesaggio e la natura qui sono stupendi. E non hanno nulla da invidiare alle altre più conosciute. La vicinanza di bacini importanti come quello di Roma, per la parte della montagna del Gran Sasso, e di Napoli, per quanto riguarda la montagna intorno alla Maiella, rappresenta una straordinaria opportunità. Basta considerare quale occasione è per i romani hanno la possibilità di trovare, a solo un’ora e mezza d’auto, un’aria così pulita, boschi e luoghi dove ristorarsi godendo del fresco naturale dei 1300 metri. Non è una cosa da poco. Oggi Rocca di Mezzo è piena da romani e baresi ma si può e si deve fare di più».
Lei quale limite vede per un affermazione a pieno del turismo volano dell’economia montana.
«Insisto sul ruolo del convincimento e coinvolgimento delle popolazioni in questo processo. Nei rocchigiani, ho potuto costatare, che non è ancora ben nutrito lo spirito d’ospitalità. Se posso dare un consiglio, inviterei ai residenti di curare di più il rapporto con il villeggiante. La gente di montagna è sempre un po’ chiusa. Ma oggi questa è una mentalità da superare. L’aspetto turistico della vita economica dei nostri centri montani è fondamentale. Vale per Rocca di Mezzo come per Roccaraso, Scanno, Pescasseroli. Sono centri turistici che si prestano ad avere una doppia stagione. E contendere un parte della clientela che dal Centro Sud si sposta per andare sulle Alpi».
Maggiore cura. Attenzione ai dettagli. Migliorare la cultura dell’ospitalità. E’ questa la sua ricetta?
«Vede, consentire a dei genitori di venire qua e trovare dei bei posti con prati e curati dove poter far giocare i propri figli. Oppure alle persone di fare delle passeggiate nella natura e trovare un angolo dove sedersi a leggere un libro o parlare. O ancora trovare aree attrezzate con bracieri per una scampagnata è importante. Molte cose sono state fatte, ma oggi più che mai occorre fare di più».
Oltre all’impegno dei residenti è necessario anche quello delle istituzioni. Servono infrastrutture nuove, alcune da migliorare. Strade e quant’altro.
«Certo, adeguare o realizzare infrastrutture per sostenere il pieno sviluppo turistico è necessario. Ma ogni intervento deve essere pensato e realizzato nel rispetto anche dell’ambiente e della natura che qui è molto generosa. Ad esempio, qui a Rocca di Mezzo, la realizzazione della galleria di circa un chilometro che avvicina al collegamento dell’autostrada è un’opera che deve essere fatta. Il sindaco, Emilio Nusca, si sta muovendo ed ha idee e progetti interessanti. Questo è un tipo di opera che potrà aiutare Rocca di Mezzo a diventare sempre più il punto di riferimento dei romani per la montagna, perché accorcia i tempi. Con un’ora si passa dalla città a una montagna dalla natura selvaggia».
L’estate 2007 passerà alla storia come l’estate degli incendi. Anche in Abruzzo le fiamme hanno distrutto una parte del patrimonio naturale della Regione. Arrivando fino alle porte dell’Aquila.
«La cosa che mi ha colpito di più, negativamente è quella degli spari contro i mezzi aerei della protezione civile che lavorano a fermare il fuoco. E’ una cosa che trovo vergognosa e d’una inciviltà unica. Per questo credo che occorra una risposta forte. A queste persone che bruciano faggete o pinete, che non ci sarà speranza per loro. E siccome non sempre sono solo dei pazzi a dare fuoco, ma ci sono interessi, non basta più una legge che dica che nelle aree bruciate non si potrà costruire per dieci anni. Occorre dire invece che lì non potrà mai fare qualcosa. Che se c’era una faggeta, dopo la distruzione per opera delle fiamme, ci tornerà ad essere una faggeta. O una pineta. I piromani devono sapere che la loro azione è senza speranza. Per fortuna in Abruzzo, anche se grave, la situazione è migliore sotto questo punto di vista. Ho letto di volontari cittadini che si sono adoperati spontaneamente a salvare i boschi. A Navelli ad esempio. Questo è un segno importante. Che fa la differenza».
Nella sua vita l’Abruzzo ha avuto un ruolo non di poco conto. Cosa si sente di dire degli abruzzesi.
«Gli abruzzesi possono essere burberi, a volte rudi, ma sono gente onesta. Io non dimentico il gesto d’una donna in quell’inverno del 1943. Camminavo per le strade di Scanno, vestito come uno straccione. Una donna mi vide. E dalla finestra della sua casa mi fece segno di salire. Mi diede un tocco di pane e un pezzo di salsiccia. Una gesto che non potrò mai dimenticare. In quei momenti d’estrema difficoltà ebbi modo di sperimentare la generosità della gente d’Abruzzo, che, come hanno scritto gli studenti del liceo scientifico di Sulmona nel bel libro che hanno realizzato, “divisero con noi il pane che non c’era”».
“Il Sentiero della libertà” la via che i partigiani di Sulmona, comandati dai fratelli Autiero, utilizzavano per far passare le linee ai militari anglo-americani, scappati dal campo di concentramento di Fonte d’Amore nella Valle Peligna. Anche lei passò le linee in questo modo. Che ricordo ne ha?
«Intenso. Quando sono stato a Sulmona per inaugurare “Il Sentiero della libertà” con tutti quegli studenti, con il mio amico Carlo Autiero, beh quello è stato un momento importante per me e per il mio settennato. Come, sul piano personale, il ritorno a Scanno. Lì avevo trovato riparo dopo l’8 settembre del 1943, grazie all’aiuto dell’amico Nino Quaglione, dopo una rocambolesca fuga da Roma, appena occupata dai tedeschi, saltando giù dal treno alla stazione d’Anversa degli Abruzzi. E poi il viaggio su una vecchia corriera alimentata a legna, che non ce la faceva quando la strada diventava più ripida. A Scanno in quell’inverno del ’43 ritrovai Beniamino Sadum mio amico d’infanzia ebreo, che con la madre cercava di sfuggire ai rastrellamenti tedeschi e il mio maestro, docente della Normale, il professor Guido Calogero, confinato politico. Le giornate nascosti in una vecchia cisterna d’acqua dove la notte, spesso, andavamo a dormire insieme con altri ufficiali e carabinieri. La grande nevicata che ci isolò dal mondo. E poi la traversata drammatica sulla Maiella con i partigiani di Sulmona, tra il 23 e 24 marzo del 1944. La tormenta. E l’arrivo, passato il fronte, a Taranta Peligna, terra di nessuno. Dove venimmo “catturati” dai Gurka. Sono ricordi indelebili e commoventi. Prima ancora: nel 1942 ero stato a Pescara. Nella caserma Di Cocco, dove avevo fatto il corso sottufficiali. E proprio durante un’esercitazione d’autocolonna, attraversai la regione e conobbi la prima volta Scanno, arrivandoci in moto. Un segno del destino forse».