Avezzano, morto in casa, è scontro sulle perizie
Marco Carli venne ucciso due anni e mezzo fa da un colpo di pistola alla fronte: il pm vuole archiviare come suicidio, ma secondo i periti della famiglia il giovane si difese nel tentativo di disarmare qualcuno
AVEZZANO. Il pm Roberto Savelli vuole archiviare l’inchiesta per omicidio sulla morte di Marco Carli, trovato senza vita nella propria abitazione di via Arrigo Boito ad Avezzano il 3 giugno 2015. Il padre Roberto e il fratello Fabrizio, che non hanno mai creduto all’ipotesi del suicidio, hanno fatto opposizione. Lunedì 15 è fissata l’udienza nella quale il gip del tribunale prenderà la decisione: far calare il velo dell’oblio sul giallo o prorogare le indagini. La richiesta del pm si basa essenzialmente sulla consulenza balistica del professor Paride Minervini depositata il 21 agosto scorso.
Marco Carli, 33 anni, è stato ucciso da un colpo di pistola. Accanto al corpo una Glock semiautomatica che il giovane deteneva legalmente.
Un’indagine difensiva, voluta dall’avvocato Antonio Milo, che insieme alla collega Patrizia Coletta assiste il padre e il fratello del giovane, ha gettato ombre sulla vicenda. Il giovane potrebbe essere stato ucciso con un colpo di pistola alla fronte, al termine di una colluttazione, e qualcuno potrebbe avere inscenato il suicidio. È quanto sostenuto in una relazione compiuta dal professor Martino Farneti, uno dei massimi esperti italiani di balistica forense e ricostruzione della scena del crimine. Il dossier aveva spinto la Procura a riaprire il caso.
Nella richiesta di opposizione all’archiviazione c’è anche la relazione del medico legale Alessandro D’Uffizi che così ricostruisce la dinamica: «Il Carli si trovava di fronte al suo aggressore, con il corpo reclinato in avanti, la mano sinistra impegnata a bloccare o a strappare l’arma allo stesso, bloccando nel contempo la culatta otturatore, ed un proiettile che viene esploso penetra in regione frontale, fuoriesce in zona occipitale sinistra ed impatta sul controsoffitto». E la psicologa forense Francesca De Rinaldis, chiamata sempre dai difensori Milo e Coletta, ha condotto un’autopsia psicologica che escluderebbe in modo categorico l’ipotesi del gesto estremo compiuto da Carli.
Secondo il padre e il fratello del giovane morto, inoltre, vi sarebbero state «diverse omissioni» da parte degli investigatori sulla scena del crimine, oltre a «gravi errori di valutazione». Come per esempio la posizione della pistola sul corpo della vittima, la posizione delle braccia allineate lungo il corpo, le gambe della vittima incrociate e allungate. Tanto che nella relazione difensiva si ipotizza un «aggiustamento» della scena del crimine, «elementi questi che propendono per un’attività di omicidio, sebbene svolta con la pistola semiautomatica di proprietà della vittima».
Secondo il padre e il fratello del 33enne, che non hanno mai creduto alla tesi del suicidio, vi è la necessità di disporre «nuove e più esaustive indagini» con il conferimento di un incarico peritale a un esperto nominato dal gip. Inoltre, i familiari invocano un confronto fra il consulente del sostituto procuratore Savelli (Minervini)e il loro consulente (Farneti). Si chiede l’acquisizione, in forma digitale, della telefonata ricevuta dal centralino di emergenza 112 della stazione dei carabinieri di Avezzano, dove veniva comunicato, alle 23 circa del 3 giugno 2015, che in via Boito «il giovane Carli Marco era deceduto di seguito al suicidio procuratosi a mezzo di un colpo d’arma da fuoco». Si chiede l’acquisizione dei tabulati del traffico telefonico, nell’arco di tempo dal 20 maggio al 20 giugno 2015, dei telefoni cellulari in uso alla vittima (attualmente “dormiente” e in possesso del fratello Fabrizio) e a cinque persone che hanno avuto contatti con il 33enne. Infine, si chiede la riesumazione del corpo (l’autopsia non è mai stata eseguita) e un’indagine suppletiva per ascoltare 15 testimoni che potrebbero aiutare a chiarire alcune circostanze ritenute «misteriose» dai familiari alla ricerca di un’altra verità.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Marco Carli, 33 anni, è stato ucciso da un colpo di pistola. Accanto al corpo una Glock semiautomatica che il giovane deteneva legalmente.
Un’indagine difensiva, voluta dall’avvocato Antonio Milo, che insieme alla collega Patrizia Coletta assiste il padre e il fratello del giovane, ha gettato ombre sulla vicenda. Il giovane potrebbe essere stato ucciso con un colpo di pistola alla fronte, al termine di una colluttazione, e qualcuno potrebbe avere inscenato il suicidio. È quanto sostenuto in una relazione compiuta dal professor Martino Farneti, uno dei massimi esperti italiani di balistica forense e ricostruzione della scena del crimine. Il dossier aveva spinto la Procura a riaprire il caso.
Nella richiesta di opposizione all’archiviazione c’è anche la relazione del medico legale Alessandro D’Uffizi che così ricostruisce la dinamica: «Il Carli si trovava di fronte al suo aggressore, con il corpo reclinato in avanti, la mano sinistra impegnata a bloccare o a strappare l’arma allo stesso, bloccando nel contempo la culatta otturatore, ed un proiettile che viene esploso penetra in regione frontale, fuoriesce in zona occipitale sinistra ed impatta sul controsoffitto». E la psicologa forense Francesca De Rinaldis, chiamata sempre dai difensori Milo e Coletta, ha condotto un’autopsia psicologica che escluderebbe in modo categorico l’ipotesi del gesto estremo compiuto da Carli.
Secondo il padre e il fratello del giovane morto, inoltre, vi sarebbero state «diverse omissioni» da parte degli investigatori sulla scena del crimine, oltre a «gravi errori di valutazione». Come per esempio la posizione della pistola sul corpo della vittima, la posizione delle braccia allineate lungo il corpo, le gambe della vittima incrociate e allungate. Tanto che nella relazione difensiva si ipotizza un «aggiustamento» della scena del crimine, «elementi questi che propendono per un’attività di omicidio, sebbene svolta con la pistola semiautomatica di proprietà della vittima».
Secondo il padre e il fratello del 33enne, che non hanno mai creduto alla tesi del suicidio, vi è la necessità di disporre «nuove e più esaustive indagini» con il conferimento di un incarico peritale a un esperto nominato dal gip. Inoltre, i familiari invocano un confronto fra il consulente del sostituto procuratore Savelli (Minervini)e il loro consulente (Farneti). Si chiede l’acquisizione, in forma digitale, della telefonata ricevuta dal centralino di emergenza 112 della stazione dei carabinieri di Avezzano, dove veniva comunicato, alle 23 circa del 3 giugno 2015, che in via Boito «il giovane Carli Marco era deceduto di seguito al suicidio procuratosi a mezzo di un colpo d’arma da fuoco». Si chiede l’acquisizione dei tabulati del traffico telefonico, nell’arco di tempo dal 20 maggio al 20 giugno 2015, dei telefoni cellulari in uso alla vittima (attualmente “dormiente” e in possesso del fratello Fabrizio) e a cinque persone che hanno avuto contatti con il 33enne. Infine, si chiede la riesumazione del corpo (l’autopsia non è mai stata eseguita) e un’indagine suppletiva per ascoltare 15 testimoni che potrebbero aiutare a chiarire alcune circostanze ritenute «misteriose» dai familiari alla ricerca di un’altra verità.
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