Camorra, sequestrato bar in centro

Il locale è inagibile dopo il sisma. Un giovane aquilano indagato per possesso di armi. Tra i sospettati anche un marsicano

AQUILA. Che la camorra fosse sbarcata all’Aquila dopo il sisma è acquisito. Ma ora si ha la prova provata che i tentacoli della malavita campana erano nel capoluogo di regione anche prima del 2009. La conferma arriva da una maxi inchiesta della Procura di Roma che ha portato a 61 arresti per associazione per delinquere finalizzata a una serie di gravissimi reati. Questo ha permesso di smantellare un’organizzazione malavitosa ben dislocata tra Roma, la Campania e l’intero Centro-Sud con una decina di milioni sequestrati.

Ed è perlomeno inquietante che i carabinieri abbiano sequestrato un locale in centro (ora inagibile) che fino a prima del sisma era attivo a piazzetta Machilone (o delle Tavole). Si tratta del bar «Backside» asseritamente riconducibile alla società di Massimiliano Colagrande, di Roma, uno dei principali accusati, finito in cella, e del cugino, Federico Colagrande, un aquilano di 38 anni, anche lui indagato ma con un ruolo certamente secondario nella vicenda. Tra gli indagati, anch’egli con contestazioni che sembrano marginali e da provare, c’è un avezzanese residente a Roma: Ferruccio Casamonica di 65 anni. Per quanto riguarda i due Colagrande si parla di possesso di armi. Secondo i carabinieri è certo che Massimiliano Colagrande avrebbe detenuto pistole consegnategli dal cugino Federico per fronteggiare azioni dirette contro di lui. L’inchiesta, denominata «Tulipano», vede come primo nome nell’ordine di custodia cautelare quello di Domenico Pagnozzi, soprannominato negli ambienti malavitosi «ice» per via degli occhi di ghiaccio, attualmente detenuto in regime di 41-bis. Oltre al già citato Massimiliano Colagrande, romano, uomo vicino agli ambienti della destra radicale e finito dentro l'inchiesta «Mafia capitale».

Le perquisizioni hanno riguardato oltre a Roma e L’Aquila, anche Frosinone, Viterbo, Perugia, Ascoli Piceno, Caserta, Napoli, Bevenento, Avellino, Bari, Reggio Calabria, Catania e Nuoro.

Le accuse mosse dalla Procura a carico del clan sono quelle di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata allo spaccio, estorsione, usura, reati contro la persona, riciclaggio commessi con l’aggravante delle modalità mafiose.

«Si tratta di un’ organizzazione che esercitava l’attività criminale attraverso un metodo tradizionale fatto di violenze e intimidazioni», ha commentato il procuratore aggiunto Michele Prestipino durante la conferenza stampa convocata a margine dell’operazione.

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